COLPEVOLI E NON INNOCENTI

Ogni singola posizione giudiziaria degli ultimi assassini di donne sarà, com’è giusto che sia, di competenza della magistratura, inquirente e giudicante, con l’ovvia partecipazione necessaria delle rispettive difese.

Quello che attiene al profilo psichico e comportamentale degli assassini è affare degli studiosi in materia, e così pure un’analisi finalmente completa e corretta di cos’è diventata questa società: sarà bene ricordare che questi uomini non vengono dallo spazio profondo, sono nostri concittadini, persone che hanno fatto parte del consorzio civile in cui tutti noi viviamo.

Chi, come chi scrive, non ha competenze in materia psichiatrica, ne ha qualcuna di sociologia e ne ha molta proprio come cittadino – lascerei perdere quella giuridica: sono certo che gli imputati saranno giudicati con processi equi e rispettosi delle garanzie, vigileranno i loro difensori in proposito – può limitarsi a qualche considerazione.

Questi uomini sono, da bambini e poi da ragazzi, cresciuti in un mondo fatto di pubblicità in cui le ragazze sono disponibili al primo offerente, quando leccano un cono gelato sembra che stiano leccando qualcosa d’altro (e il messaggio pubblicitario è precisamente QUESTO che vuole: il gelato arriva di conserva), fanno le cretine decerebrate, incapaci di ragionare al di là di una borsa di Zara;  il percorso pre e post adolescenziale (posto che ne siano usciti) di questi ragazzi ora uomini è stato segnato da cartoni animati giapponesi che non esito a definire criminali, intrisi di superomismo e subordinazione femminile, il tutto nell’assoluta staticità di sguardi ed espressioni fra l’aggressivo e lo sgranato, videogiochi di una violenza inaudita e gratuita, direttamente proporzionata al disprezzo per la vita umana; è stato accompagnato da video musicali in cui neri deficienti e arroganti, che ogni tre parole si toccano il pacco ammiccando a una svariata serie di ragazze che fanno da tappezzeria, oppure latini deficienti e arroganti, che ogni tre parole si toccano il pacco ammiccando a una svariata serie di ragazze che fanno da tappezzeria, interpretano (il termine è forse esagerato, ma va bene così) brani musicali (?) i cui testi rimbalzano dall’idiozia più disperante a giudizi sul femminile che non avrebbero osato esprimere neanche i nostri bisnonni che consideravano le donne non adatte al voto o al ruolo di giudici o medici, mentre frequentavano abitualmente le case di tolleranza, fino a chiari e per nulla sottesi riferimenti all’uso della violenza, verbale e fisica; è stato ossessionato da un consumismo gretto e sfrenatamente scemo, confinato e imprigionato nello spazio che va dallo stomaco da riempire ai genitali da svuotare, senza passare neanche per sbaglio dalle parti del cervello; è stato, infine, segnato da programmi televisivi in cui persone adulte – è questa l’aggravante – liberamente sbraitavano, si davano sulla voce, si interrompevano, si offendevano, minacciavano di venire alle mani (e talvolta lo facevano), mischiavano ragioni, opinioni e comportamenti in un unico orribile minestrone di merda assortita. Tutto questo, pensato, scritto, prodotto e pubblicizzato da adulti, col preciso scopo di formare, manipolare, indirizzare, condizionare, incanalare una o più generazioni. Questo, in luogo del dialogo, dell’insegnamento e del reciproco apprendimento, della cura e della crescita.

Per non dilungarsi a parlare d’altro: noi, cittadini adulti di questa società, che se non abbiamo favorito tutto ciò, evidentemente – e senza scusanti di sorta – non abbiamo fatto abbastanza per evitarlo ai nostri figli, abbiamo il diritto di stupirci? Abbiamo il diritto di indignarci? Abbiamo diritto di mettere un confine fra noi e loro?

La risposta non può che essere: no, non l’abbiamo. Sarebbe perfino grottesco avanzare diritti, là dove non si sono esercitati precisi doveri.

Ci saranno processi, condanne, pene eseguite. Se non altro, rimane la speranza (che andrebbe corroborata e aiutata da investimenti di mezzi e uomini) che gli anni che questi cittadini italiani passeranno in carcere possano servire loro per un cambiamento, per un miglioramento, per fare in modo che il loro ritorno in società (a meno che, pure se condannati all’ergastolo, non meritino alcun beneficio, ma questo è un problema loro e di chi dovrà valutarne il comportamenti intramurario), li veda diversi da quando ne sono stati espulsi.

Verrebbe, però, da dire che ci dovrebbero essere altri processi, altri imputati e altre condanne: noi, la nostra società, chi permettiamo di andare al potere o lo eleggiamo ripetutamente per questo, chi occupa le nostre vite senza che noi si faccia adeguata resistenza e adeguata tutela ai più deboli ed esposti – i nostri figli – noi tutti dovremmo essere processati. Anche se, a ben vedere, in realtà parlare di processi sarebbe fuorviante: da avvocato difensore, ho a mente come in un processo l’esito non sia mai scontato, per quanto grave e indifendibile possa sembrare la posizione di chi è chiamato a rispondere di questo quella accusa e che, per sua natura e definizione, un processo può e deve ricomprendere, come possibile conclusione, l’assoluzione dell’imputato. Quello nel quale dovremmo trovarci sul banco degli imputati non sarebbe un processo, se mai un giudizio: perché non possiamo in alcun modo proclamarci innocenti.

In attesa di ciò, a ulteriore oltraggio, dovremo aspettarci e sopportare l’indignazione a mezzo stampa, pelosa e autoassolutoria.

Cesare Stradaioli