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COLPE E (VERI) COLPEVOLI

Ora che, in piena crisi di governo dopo le dimissioni di Matteo Renzi, l’attesa sembra focalizzata sulla data del 24 gennaio 2017, quando la Corte Costituzionale esaminerà i ricorsi in merito ai dubbi di incostituzionalità della legge elettorale attualmente in vigore, denominata ‘Italicum’, non sarà sbagliato fare presente qualche considerazione in proposito.

L’entrata in vigore dell’attuale legge elettorale rappresenta un esempio tipico della natura arrogante e pressapochista dell’esecutivo che, di fatto, è stato messo in minoranza dal referendum del 4 dicembre: intendo la natura del governo, ma anche dello spirito di servizio, senso dello Stato e competenza politica di tutti coloro della minoranza del Pd che lo votarono, pure se sotto minaccia della fiducia. Il governo Renzi ha operato a testa bassa e, in un colpo solo, ottiene, forzando continuamente la mano alle Camere, niente meno che una nuova legge elettorale e la riforma costituzionale: dopo di che promuove su questa seconda un referendum popolare, che avrebbe dovuto avere la natura di sigillo non solo e non tanto sulla bontàe giustezza di quella riforma, quanto sulla durata e popolarità dell’esecutivo. Due pilastri che avrebbero dovuto sorreggere sia le leggi già approvate nei quasi tre anni di governo, sia soprattutto quelle a venire e in tutto ciò si devono aggiungere le nomine ai vertici di fondamentali apparati produttivi e di potere nel nostro Paese – Finmeccanica e Trenitalia per dirne solo due.

Renzi, però, e con lui i suoi sodali, dentro e fuori la compagine ministeriale, avrebbero dovuto approfondire una riflessione e, di conseguenza, porsi per lo meno una domanda. Perché la riforma costituzionale, fra le altre – esecrabili – cose, conteneva quella del Senato che, sostanzialmente e al di là dei numeri e del taglio dei costi (piuttosto esiguo), constava del fatto che la carica di senatore sarebbe stata ottenuta con metodo del tutto diverso e cioè tramite le consultazioni amministrative le quali, per mezzo di decisioni prese da un certo numero di eletti, avrebbero portato a Roma un centinaio circa di persone NON direttamente elette dai cittadini. Dunque, di fatto, tolto il Senato dalla consultazione diretta, solo la Camera dei Deputati rimaneva sottoposta al sistema ‘Italicum': che, nel frattempo, lo si poteva tranquillamente prevedere senza gran sforzo, a tempo di record sarebbe stato sottoposto al giudizio della Consulta. Ma che importa? devono essersi detti Renzi e soci: tanto, se la Corte Costituzionale dichiara incostituzionale l’Italicum, rimane sempre la revivescenza del ‘Mattarellum': e, in ogni caso, la questione riguarderebbe solo la Camera.

La domanda da porsi avrebbe dovuto essere: se la riforma costituzionale dovesse essere bocciata, che ne sarebbe del sistema elettorale? All’esito della consultazione referendaria, come è puntualmente accaduto, l’Italia avrebbe potuto trovarsi, come di fatto si è trovata, con un sistema elettorale per la Camera (l’Italicum) e uno per il sopravvissuto Senato, cioè il redivivo ‘Mattarellum’, tornato a nuova vita dopo la sanzione sotto la quale a inizio 2014 è caduta la porcheria che ha, non lo dimentichiamo, portato in Parlamento i rappresentanti tutt’ora presenti. Cioè una situazione di pieno marasma elettorale e istituzionale, due cose delle quali proprio non si sentiva la necessità e l’urgenza. Qualcosa situato fra la follia e la tragedia.

Saggezza avrebbe consigliato, postisi domanda di cui sopra, che i membri dell’esecutivo togliessero da quella costituzionale, se proprio volevano farla – e neanche di questa si sentiva necessità e urgenza, con i mille e un problema che l’Italia si trova ad affrontare – quella del Senato, lasciandolo così com’è: vediamo come va il referendum (meglio ancora sarebbe stato lasciare in stand by l’intera riforma) e poi decidiamo per il futuro. Così ragiona un gruppo politico che ha a cuore le sorti del Paese e che non le scambia – o le contrabbanda – con metterci la propria faccia, cosa che non importa a nessuno.

Ma questo esecutivo, pienamente innervato dal carattere dell’ex presidente del Consiglio, ha sempre manifestato un’aperta insofferenza per la riflessione, una palese incompetenza nel pensare e nello scrivere le leggi, un disarmante pressapochismo nella conduzione dell’attività politica e una patologica tendenza a invadere il campo altrui (specie quello del Parlamento, occupando il Potere legislativo con le truppe di quello esecutivo: e dire che era uno degli appunti più seri e fondati che venivano mossi a Berlusconi), mischiate a uno stile tardofuturista da adolescenza in esubero di testosterone, che inevitabilmente porta con sé taglienti giudizi senza appello sui vecchi, sui rottami, sulle lungaggini, come se una struttura istituzionale fosse una specie di gioco di società. E così, l’insipienza e l’incompetenza da dilettanti allo sbaraglio (ma il sospetto che si tratti invece di un pool di utili idioti, al lavoro per conto terzi, è fortissimo), ha portato a mettere in un unico calderone leggi fatte male, senza decreti attuativi o troppi e scritti da analfabeti – non solo della politica: analfabeti nel vero e proprio senso della parola – quotidiane e plurime intemperanze propagandistiche da campagna elettorale in servizio permanente effettivo, disordine legislativo, dispersione di risorse umane e materiali, inconsistenza europea, il tutto a fare da contraltare a un voluto e sistematico ridurre la politica interna a indecorosa canizza da cortile di casa. La sicumera di cui dispongono a piene mani li ha portati a semplicemente escludere che i NO vincessero. Ed è andata come sappiamo, coi bei risultati sotto gli occhi di tutti.

Da ultimo, l’incertezza sul sistema elettorale per il Senato. Ed è davvero disdicevole che il principale responsabile a cui ascrivere non solo il fallimento del governo Renzi, del governo Letta e di quello Monti ma, quello che più conta, il disastro di un Paese che negli ultimi cinque anni, grazie anche al sostegno di una stampa a coro unanime, prona e prostituta come non si era vista neppure nei più oscuri anni democristiani, ha perso lavoro, ricchezza, dignità, speranza, coesione sociale e prospettive per pressoché tutte le fasce sociali e di età (neanche i pensionati possono stare in pace, dovendo provvedere ai figli e ai nipoti, come avevano già fatto nei precedenti 30-40 anni della loro vita lavorativa), un Paese dove sono cresciute povertà e diseguaglianza oltre a una più che legittima, fondata e pericolosissima disaffezione alla politica; si diceva, il principale responsabile, che di tutto ciò fino a qualche mese fa si prendeva il merito (nelle poche pause in cui i peana mediatici che glielo attribuivano prendevano fiato), vale a dire l’ex Presidente della Repubblica vivente, probabilmente il peggiore Capo dello Stato che ha avuto l’Italia – e con personaggi quali Saragat e Cossiga era una bella gara, per niente facile da vincere – di tutta questa rovina non sarà chiamato a rispondere, se non da Maurizio Crozza quando lo imita e questa è cosa brutta e ingiusta perché, parafrasando la battuta di un famoso film, ci sono momenti in cui dire ‘Noi l’avevamo detto’, non rende sufficiente giustizia e di fronte allo scatafascio politico, culturale e sociale nel quale si è svegliato il Paese la mattina del 5 dicembre 2016, non ci sarà giustizia neanche stavolta.

Cesare Stradaioli

Un commento su “COLPE E (VERI) COLPEVOLI

  1. A proposito di giustizia…Ho ultimato ieri la lettura di un libro straordinario:

    Elvio FASSONE, “Fine pena: ora”, ed. Sellerio (PA), 2015.

    Mille auguri a Voi tutt*!

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