CHE COS’E’ QUESTA LAICITA’?

Lunga, lunghissima sarà la strada verso un concetto di laicità, di Stato laico concretamente saldato nella coscienza dei cittadini italiani – e non solo. Al punto da indurre a riflessioni più approfondite sulla sua stessa, attuale realizzazione: più nello specifico, a porci la domanda se, ogni qual volta se ne parla e se ne scrive non si stia facendo, in realtà, un puro e sterile esercizio di stile, scordandoci di fare i conti con la realtà che ci circonda. E valga qualche considerazione presa da cronache di questi giorni.

E’ abbastanza ovvio che la stampa di occupi con un rilevante clamore della vicenda di un sacerdote della provincia di Padova coinvolto, secondo la Procura della Repubblica che si occupa delle relative indagini, in una serie di ipotesi di reato, che andrebbero dall’induzione allo sfruttamento della prostituzione, fino al tentativo di estorsione.

Ora, in tutta evidenza – e per un minimo di decenza giudiziaria oltre che sociale – sarà la magistratura inquirente a considerare l’ipotesi di una richiesta di rinvio a giudizio e, per logica scansione procedurale, quella giudicante a valutare se e in quale misura il sacerdote dovrà rispondere di questo o quel comportamento delittuoso. Sarà anche lecito stupirsi e perfino indignarsi di certe titolazioni dei quotidiani – ancor di più, vorrei dire, delle locandine, non di rado non veritiere e ansiogene: anche e soprattutto con riferimento al voler ascrivere al sacerdote comportamenti (“Don XY: sesso con trans“) che, in sé, nulla hanno di penalmente rilevante, oppure allo sparare titoli, neanche poco minacciosi e allusivi quali “Si cercano altri preti“, come se essere prete fosse equiparabile a ‘scafista’ o ‘ricettatore’, definizioni intrinsecamente criminali. Rimane il fatto che si tratta di fenomeni massmediatici che per forza di cose attirano l’attenzione dei lettori, il che porta la stampa a eccedere nei toni e nelle definizioni. Il livello professionale (e linguistico) del giornalismo italiano è quello che è, ma non è questo il punto.

Si legge, con sempre maggiore frequenza, di persone che – ritenendo di essere state soggette ad abusi, o tentativi di abusi o molestie sessuali da parte di rappresentanti del culto, o magari di voler dare voce a chi non possa farlo – si rivolgono al vescovo o all’autorità ecclesiastica del luogo, a denunciare determinati fatti. Ne consegue – a quanto pare – un invito ben più che pacato, rivolto alla singola persona, ad astenersi dal pubblicizzare il fatto all’esterno e questo pare proprio che ricomprenda le forze dell’ordine.

Come si fa? Cosa si deve fare? Per mettere in testa alla gente, continuamente incalzata da cronaca nera e programmi televisivi che non esito a definire criminali, da bandire senza pensarci un momento, che se un sacerdote ricava utilità dalla prostituzione di una donna; se le usa violenza; se ne chiede omertà, con la minaccia di rivelare alla di lei famiglia determinati fatti, prima che essere un sacerdote rinnegato davanti al dio in cui crede, è un cittadino accusato di gravissimi reati? Che quei fatti, prima che interessare il vescovo e terrorizzare la Curia che cerca di porvi rimedio col silenzio, devono DEVONO essere riportati immediatamente ai Carabinieri?

Al di là del singolo fatto di cronaca locale che interessa qualche migliaio di cittadini che vivono nella cintura provinciale patavina (dove, peraltro, ancora numerosi si contano gli infraquarantenni i quali, in luogo di domandare dove taluno abiti, gli chiedono a quale parrocchia appartenga…), è stupefacente come l’incremento dei casi di molestie o vere e proprie violenze sessuali, quanto meno denunciate, che vedono accusati religiosi di ambo i sessi, porti una percentuale direttamente proporzionale di denunce rivolte, quasi nella loro totalità solo all’autorità ecclesiastica e in misura minore ma comunque allarmante ANCHE a quella giudiziaria. Come se l’offesa che viene riportata avesse unicamente a che fare con la coscienza di chi viene accusato del gesto e come se il bene tutelato fosse il buon nome della Chiesa e non l’individuo (i reati a sfondo sessuale sono ‘contro la persona’) o il patrimonio (come nel caso dell’estorsione), oltre che il popolo italiano, in nome del quale vengono emesse le sentenze, di condanna o di assoluzione che siano.

E poi si parla di laicità dello Stato. E poi si alza alto lo sdegno per questa o quella dichiarazione, per questo o quel mancato intervento da parte di questo o quell’intellettuale che, a seconda dei casi, ha tentato di erodere la laicità dello Stato o non ne è stato sufficiente difensore.

Ma di quale laicità dello Stato stiamo parlando, in Italia, oggi, anno 2017? Che il fenomeno non sia solo italiano, non è che sia considerazione degna di nota. A che pro sottolineare come anche negli USA, segnatamente nella circoscrizione di Boston, moltissimi casi poi accertati di pedofilia siano rimasti per anni circoscritti agli ambienti religiosi? “Anche negli USA”? Uno stato apertamente teocratico, dove il Presidente giura sulla Bibbia, dove a nessun politico che pensi di candidarsi per qualsiasi carica verrebbe in mente di dichiarare il proprio ateismo, dove la parola dio viene scritta sulle banconote, dove ai convegni universitari sulla perenne crisi in Medio Oriente (per fare un esempio che lasciava di sasso Edward Said), si alza sempre la manina di qualcuno che chiede ai relatori come spieghino che dio ancora non ha pensato di risolvere il problema, dove in alcuni stati è imposta la teoria del creazionismo come insegnamento obbligatorio a scuola?

E poi parliamo della Francia, del senso dello Stato, del divieto del velo in pubblico, mentre da noi c’è ancora il crocefisso nelle aule scolastiche e in quelle dei tribunali. Un esempio di comportamento al quale aspirare? Il caso del cardinale Pell scoppiò quando qualcuno, non ricordo se uomo, donna, madre, padre, sorella o altro, si rivolse a un prelato di un certo livello della Curia del Victoria, stato della federazione australiana, menzionando per l’appunto fatti attribuiti a Pell quando era sacerdote a Ballarat, località a un centinaio di chilometri da Melbourne; riferito il fatto, costui o costei si sentì dire che certamente le autorità religiose avrebbero fatto il dovuto, ma che era opportuno che di tutto fosse informata la polizia. Molto simile, nella connotazione del senso di appartenenza a un’entità statuale (oltre che di un grande senso di umanità) al pensiero del rabbino capo di Melbourne, qualche centinaio di metri di distanza e di pochi mesi successivo, quando dopo l’inizio nei Territori, dell’operazione dell’esercito israeliano denominata ‘Piombo Fuso’, disse che anche i palestinesi avevano diritto a uno Stato autonomo e indipendente.

Questo è parlare da e di uno Stato laico: e sono stati due rappresentanti religiosi, a farsene portavoce.

Cesare Stradaioli