BISOGNA CAPIRSI

Se non ci si capisce, se non si usano termini omogenei, il confronto diventa impossibile e si trasforma in pretesto per litigare.

Mario Calabresi interviene oggi con tutto il suo peso, in prima pagina del quotidiano che dirige e, tanto per mantenere alto il tono che ‘Repubblica’ tiene da tempo sul tema, parla di ‘mistificazioni’, in punto di discussione sulla questione dello ius soli. Insomma, le acque sono intorbidite da un fraintendimento – voluto o meno, non lo si comprende esplicitamente; sotto traccia, è voluto alla grande. Non è vero, sostiene il direttore, che la legge che sta vivendo una vita al momento alquanto tormentata trasformi in cittadino italiano chiunque sbarchi sul nostro territorio; ed è men che meno vero che siano alle viste sbarchi di donne incinte tese a far nascere il proprio figlio in Italia, facendolo così automaticamente diventare cittadino, dal momento che, in realtà, secondo questo disegno di legge si diventa cittadini solo nascendo in Italia da genitori che da 5 anni regolarmente ivi risiedono, ovvero giungendo in Italia entro il dodicesimo anno ma avendo completato un intero ciclo di studi.

Ora, nel nobile intento di parlare la stessa lingua, di avere un linguaggio comune e di utilizzare termini condivisi, presupposti indispensabili per un corretto scambio di vedute e di un concreto e consapevole formarsi una qualsiasi opinione, dato che lo ius soli è un principio secondo il quale si acquisisce la cittadinanza di un certo Paese per il solo fatto giuridico di esservi venuti alla luce, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori, ciò di cui sta parlando Calabresi, semplicemente NON è ius soli, ma è qualcosa d’altro.

Il che, non solo gli meriterebbe – oltre a lui, anche a numerosi rappresentanti del Pd – che si rimandasse al mittente la sistematica e strumentale offesa di equiparare a Salvini chiunque sia critico nei confronti della cittadinanza ad minchiam, come l’avrebbe definita il mitico professor Scoglio ma (cosa molto più importante di cosa pensi (malissimo) il direttore di ‘Repubblica’), costringe a ricordare agli smemorati e agli ignoranti che nel Paese simbolo per antonomasia dello ius soli, gli USA, è vigente da sempre una rigidissima legislazione in merito all’immigrazione, ciò che rende improponibile lo sbarco di un numero indefinito di prossime puerpere. Complice anche il fatto che negli USA non si arriva col barcone.

Molti anni or sono, l’Irlanda adottò lo ius soli: quello vero, non il fraintendimento di Calabresi. Alla cinquantamillesima donna incinta – povere disgraziate in fuga dalla fame e dalla guerra, ma anche semplici opportuniste: le cose vanno dette, una buona volta, anche se sono sgradevoli e se Salvini dice che il sole nasce a est, non possiamo metterci a dire che nasce a ovest, solo perché non ci garba concordare con lui – che si presentava per far valere al proprio pargolo quella splendida legge, i governanti locali pensarono di avere sbagliato qualcosa e l’abrogarono seduta stante. Al momento, ritennero, si trattava di qualcosa di economicamente e socialmente insostenibile, pur con tutta la buona volontà che si trova in un Paese profondamente cattolico. Perché, come diceva Platone, c’è quello che vorremmo che ci fosse e poi c’è quello che c’è: e questo andrebbe ricordato a coloro i quali (il Pd ne è ricchissimo) si permettono di dare, un giorno sì e un giorno anche, lezioni di pragmatismo e di realismo, in punto di alleanze indecenti con personaggi che in un Paese civile sarebbero impresentabili – se non in carcere.

Cesare Stradaioli