BASTA CAPIRSI

E’ significativo che, nel mare di commenti, osservazioni, recriminazioni rispetto alla mancata conversione in legge del DDL Zan e, più nello specifico, riguardo a cosa abbia fatto e dove si trovasse Matteo Renzi al momento del voto in Senato, ne mancasse uno, il più fondamentale e totalmente scevro da opinioni personali, essendo un mero dato di fatto oggettivo. Significativo, ma non sorprendente: nessuno gli ha chiesto conto del fatto che, essendo un parlamentare, non solo non si trovasse dove avrebbe dovuto – e cioè in Senato – ma che stesse facendo sostanzialmente gli affari propri.
Tutto tranne che sorprendente: non possiamo, non dobbiamo sorprenderci. Ma non tanto e non solo che Renzi abbia usato a suo piacimento il tempo e il ruolo conferitigli dalla carica parlamentare, sovvenzionati da noi adesso con il suo stipendio da senatore e dai nostri figli in futuro sotto forma di vitalizio. Non è il caso, qui, di mettersi a fare la avvilente conta delle percentuali di assenteismo dei parlamentari della Repubblica Italiana. Il punto è che NESSUNO gliene abbia chiesto conto. Il massimo che è riuscito a fare il corpus della stampa intera, commentatori inclusi, è stato di stigmatizzare il fatto che in qualche modo stesse lavorando per un signore che è a capo di una dittatura integralista religiosa – di passaggio: accusato dalla CIA (l’intelligence dei suoi più fidi sovvenzionatori, gli USA, non da un branco di arrabbiati bolscevichi) di essere il mandante di un crudele omicidio – e che, per questo stesso motivo, non brilla per democrazia e rispetto dei diritti umani.
Non è questo il punto.
In qualità di senatore, il signor Matteo Renzi – ma chiunque altro al posto suo, sia chiaro – deve stare in Parlamento (intendasi: in aula oppure nella specifica commissione riservatagli) e, nei ritagli di tempo del suo lavoro, rimanere in contatto con la base elettorale che lì l’ha mandato. Per questo viene lautamente (giustamente, aggiungo) ricompensato, oggi e in futuro. Insomma, deve fare quello per cui è stato eletto.
Se lui o uno come lui, invece di fare il parlamentare se ne va in giro per il mondo a prendere lauti gettoni di presenza per conto di un farabutto che sottomette il suo popolo o anche se lavorasse gratis per Emergency, in ogni caso mancherebbe al suo ruolo, al suo impegno e per questo stesso fatto – meramente oggettivo, l’abbiamo definito: sfido chiunque a confutare una tale definizione e sostenere che sia innervata di opinioni personali – è da condannare.
Il fatto è che del Parlamento non importa più nulla a quasi nessuno. Fin da bambini ci hanno riempito la testa e la pancia con concetti quali democrazia, rappresentanza, parlamento, dibattito parlamentare, governo, opposizione, poteri bilanciati fra loro; è tempo di dire che il loro significato è planato vicino allo zero e qualcuno si sta occupando degli scavi per penetrarlo sotto terra. Al di là della mera e insignificante protesta su quanto costa un parlamentare, il cittadino italiano medio non va: non ne ha la voglia né il motivo. Da decenni Camera e Senato sono diventati luoghi in cui si svolge uno staco e francamente noioso refrain: approvare, con la minaccia della fiducia e del tutti a casa appassionatamente, un provvedimento pensato, scritto e deciso altrove e cioè nell’ambito del potere esecutivo. Con tanti saluti a quello legislativo, espropriato, trasferito, rinominato e alla narrazione della tripartizione con l’altro piccolo porcellin, quello giudiziario.
Una campagna stampa idiota e facilona ha portato alla significativa riduzione del numero di deputati e senatori: non serviva – non servirà – a niente, fino a quando in omaggio alla pervicace, malefica e autolesionista tabe che vuole un uomo solo al comando (si chiami Mussolini, Craxi, Berlusconi, Monti, Napolitano o Draghi non cambia nella sostanza e nel concreto quasi niente), qualcuno si decida a mettere tutti in riga, perché è notorio che gli italiani non si governano, bensì si prendono per manina a fare i compiti che c’è, in alternativa, la bacchettata sulle dita o la merendina come premio. Onestà avrebbe voluto la totale scomparsa del Parlamento, per quello che serve. Un governo guidato da qualcuno che non è eletto bensì scelto dal Presidente della Repubblica (magari a sua volta eletto dai cittadini, come vorrebbero i soliti idolatri del potere forte) e che opera a colpi di decretio blindati con la fiducia (e il voto segreto) non è necessariamente sinonimo di colpo di stato e qualcuno prima o poi ci arriverà a scriverlo, vale la pena di scommetterci. Inoltre, che diamine, non è più tempo di marce su Roma, carri armati o principi pagliacci che credono di esautorare un potere legislativo già esangue di suo con un battaglione di forestali.
Che nessuno metta Renzi all’angolo, dicendo a lui e a tutti i cittadini di smetterla di chiedere e chiedersi con chi fosse e perché, obbligandolo ad ammettere che semplicemente lì dov’era non era il suo posto – c’è sempre la scelta di dimettersi da parlamentare e legittimamente uno fa quello che più gli pare, gli piace e gli fa comodo – perché la stampa è un’accozzaglia di analfabeti (di politica e della lingua italiana) servi e proni o perché la domanda e l’eventuale risposta non interessano a nessuno, è un dilemma che lasciamo volentieri ad altri.
Veda qualcuno di decidere cosa sia peggio. E’ davvero una bella gara al ribasso.

Cesare Stradaioli