ANNIVERSARI IN MENO

Fa specie pensare a qualcuno morto quarant’anni fa e che oggi non ne avrebbe neppure ottanta. Nel caso di Rainer Werner Fassbinder, in primo luogo coloro che l’hanno amato pensano a quanti film mai più avuti, quanti interventi pubblici in meno da parte di un uomo che non le mandava a dire, anche fuori dal recinto della cinematografia, quanto avrebbe influenzato (altro che influencer) la cultura europea, insomma quanto avrebbe fatto se solo quell’inestinguibile fuoco che lo divorava gli avesse dato un po’ di pace.
Caso da manuale di ars longa vita brevis (con non poco vezzo andava dicendo che sarebbe morto alla stessa età di Marilyn Monroe: in realtà “sforò” di un anno), quello che ci manca dal 10 giugno 1982 è una figura apicale non solo del cinema ma anche del teatro e della scrittura; la sua sconfinata produzione artistica ci ha dato non solo splendide riscritture e rivisitazioni del melodramma, magnifici personaggi femminili che solo uno che non aveva necessità di fare outing era in grado di descrivere – bastava la sua raffinata sensibilità – lunghi e sofferti piani sequenza, film mai con cinque secondi di girato in eccesso e la cruda rappresentazione di una rivalsa verso una pallida madre (la Germania ancora, perennemente, spaccata) che in nome dell’oblio e del senso di colpa, oggi declinato in deficit di bilancio, aveva negato alla sua generazione la gioia e la speranza, ma anche e prima di ogni altra cosa uno sguardo allo stesso tempo freddo e amorevole, crudele ed empatico sui suoi personaggi, povere creature oppresse dall’ambiente, dalla società e soprattutto dal conformismo, vero grande principale nemico del progresso intellettuale.
Uno come Fassbinder manca anche per quello che avrebbe potuto dare oltre: basti pensare, quale che sia in ciascuno l’opinione in proposito, al formidabile colpo di genio che con ”Berlin Alexanderplatz” aveva buttato lì il discorso sulla serialità cinematografica e televisiva e il rimpianto è ancora maggiore dando uno sguardo al panorama culturale odierno, scarso, gretto, messo all’angolo dall’idolatria dell’utile e del produttivo; orridi concetti ai quali opponeva le sue incredibili canotte traforate, il giaccone anche in piena estate e quel sorriso solo apparentemente beffardo, in realtà specchio di un’anima col cappello in mano alla ricerca di affetto, inevitabilmente accompagnato dalla millesima sigaretta della giornata.
Quella stessa idolatria che ripete che con la cultura non si mangia – a dire il vero c’è gente con la cultura si è riempita pancia e tasche – e che induce a credere che gli anniversari non servano a niente: per questo, tutte le principali testate hanno beatamente ‘bucato’ il suo quarantennale (quasi quanto quello di John Belushi, andatosene quattro mesi prima).
Tanto per ricordarci che gli anniversari servono, eccome.

Cesare Stradaioli