ACCADEVA: E’ ACCADUTO DI NUOVO

Un ceto politico davvero povero e miserabile.
Correva l’inizio del 1979 e con queste parole Luciano Ferrari Bravo firmava l’incipit del primo numero di ‘Magazzino’, una rivista vicina all’Autonomia Operaia: di lì a poche settimane l’esplosione nucleare a salve altrimenti conosciuta come ‘Operazione 7 aprile’ avrebbe disarticolato l’organizzazione e l’intera area politica circostante, con il suo portato di teoremi, arditi paragoni, registrazioni di voci brigatista attribuite a Toni Negri, ordini di cattura, latitanze, suicidi, vite rovinate, processi monstre, deliri di potere (‘pantalonata giudiziaria’, fu il termine che usò la Chambre d’Accusation parigina a fronte dei 46 capi di imputazione rabberciati alla bell’e meglio dalla Procura di Roma per ottenere l’estradizione – richiesta respinta – di Franco Piperno) e strascichi legali assortiti. Poteva apparire, forse fin da quel momento, come una specie di slogan, di parola d’ordine: un intellettuale di poche ma significative parole come il compianto docente veneziano non era tipo da lasciarsi andare a voli pindarici né tantomeno era portato ad apparire e quella frase, in realtà, rappresentava a pieno non solo il contenuto dell’articolo, non solo l’opinione generale che esondava l’area della sinistra extraparlamentare per diffondersi in strati non meno vasti della sinistra ufficiale, ma anche e soprattutto quello che in effetti era, quel ceto politico.
L’ubriacatura ideologica del craxismo che, messi da parte Proudhon e il garofano stava per tirare fuori artigli ideologici ben più cruenti, mostrava il vero volto di un’azione soprattutto extra parlamentare – con ciò si intenda l’inizio del processo di usura del potere legislativo in capo alle due camere – che non molto più tardi avrebbe preso le sembianze del volto trucemente sorridente dello spot pubblicitario dell’allora Fininvest, attraverso il cavallo di Troia dell’apertura del PSI alle firme più prestigiose della moda e dell’effimero; dal canto suo, la battaglia per i diritti civili furbescamente cavalcata dal Partito Radicale era in procinto per sciogliersi nell’ennesima caricatura della più recente americanata: pochi, significativi rappresentanti di quella stagione (ne dico due per tutti e forse per loro stessi e basta: Mauro Mellini e Adele Faccio), rimanevano a sventolare una bandiera che sarebbe stata poi in mano a loschi figuri immediatamente transitati nelle file berlusconiane al primo accenno di assalto alla diligenza; dal canto suo, il PCI ancora stava rimuginando torvamente sulla tragedia del caso Moro che ne aveva spaccato il guscio interno e mostrato l’incertezza del lato umano di ciascuno, mentre distribuiva a piene mani verso i propri militanti e simpatizzanti i sedicenti (ma per nulla seducenti) successi delle presidenze di Camera e della Repubblica (chi si chiedesse cosa avesse a che fare Pertini con il Partito Comunista, dovrebbe anche interrogarsi su cosa effettivamente avesse in comune con Craxi e i suoi – salvo rare eccezioni – impresentabili corifei), il tutto preparandosi ad appoggiare la magistratura inquirente nell’operazione che avrebbe portato a radere pressoché al suolo tutto quanto alla propria sinistra non si trovasse allineato alla politica belringueriana.
Eppure.
Eppure quei rappresentanti, molto più direttamente eletti di quanto non lo siano quelli che attualmente popolano i banchi parlamentari, sia pure definiti in maniera allora così sferzante nel panorama odierno appaiono come giganti della politica, della capacità di ascolto, di intelligenza, di abilità nella mediazione e nel confronto (e nel conflitto), se paragonati ai personaggetti – a pensarci, il solo presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, inventore del termine, parrebbe in qualche modo non sfigurare al confronto dei passati – che da un anno cantano quasi in coro le lodi all’esecutivo più ecumenico della storia italiana, guidato da un banchiere ultraliberista e fiero monetarista e che al massimo fra un anno e poco più si troveranno a farsi la conta e a verificare quanti fra loro, nel parlamento scioccamente dimezzato da un disegno politico che bisognerebbe definire criminale se non fosse sfrenatamente idiota, saranno ancora a rivolgersi dandosi reciprocamente dell’onorevole e del senatore.
L’esperienza di vita dovrebbe insegnare a molti, se non a tutti, che guardarsi indietro non sia pratica sana e consigliabile, specie se si vuole pensare al futuro del quale il presente non è che il prologo; non è sana neppure per non dover essere condannati a pensare sempre che si stava meglio quando si stava peggio – sempre che, prima, peggio si stesse sul serio.

Cesare Stradaioli