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E adesso, poveri uomini e donne?

Oltre alle varie altre cose che non è, l’Italia non è un Paese per chi detesta ripetersi; in più, non bastasse l’obbligo a esprimere più volte lo stesso concetto – come se non fosse stato ascoltato con sufficiente attenzione, cosa che avviene pressoché sempre – il fatto di ripeterlo fa correre il serio rischio di passare per tromboni, cioè quelli che proprio ripetono le cose, come se non avessero memoria di averle appena dette.

Perciò, riproviamoci. Chi se ne importa del pensiero politico di Beppe Grillo. Chi se ne importa anche delle opinioni su questa o quell’altra questione, espresse dai principali rappresentanti del M5S: certo, è ovvio che, una volta chiamati a governare questa o quella realtà locale o statale, le scelte che fanno, di volta in volta (o che non fanno) hanno il loro bel significato. Non di meno, rimane sempre di fondamentale importanza, per chi da Sinistra preferisce le analisi e le sintesi alle affermazioni viscerali e spontanee, prendere in esame 1) chi è l’elettore del M5S, 2) perché vota il M5S e 3) cosa si può e si deve fare per intercettare questo voto che, lo sanno perfino i grillini, nella maggiore percentuale è un voto di protesta, più contro che a favore.

Invece di distribuire patenti di qualunquismo e di antipolitica – l’antipolitica, caso mai, è il Pd, ogni qual volta, per bocca di questo o di quel rappresentante (di maggioranza come di opposizione interna), di questo o quell’alleato, ripete il mantra “Non c’è alternativa”, laddove proprio il prefissarsi di cercarla e finalmente trovarla, un’alternativa, è il cuore della politica nel suo senso più nobile – invece di offendere e schernire, senza rendersi conto che nel fare questo si esacerba e si esaspera ancora di più il voto ‘contro’, di protesta, di insofferenza, ebbene invece di fare tutto ciò, sarebbe il caso di guardare in faccia la realtà. Piaccia o non, il M5S c’è, esiste, comincia a radicarsi sul territorio (ivi comprese le fisiologiche cadute di governo), presenta volti nuovi e giovani: ed è singolare per quanto odioso – bisogna dirlo – che proprio dal Pd renziano provengano dileggi verso la gioventù e la novità (leggi: inesperienza), quando le stesse parole d’ordine hanno portato al potere e al governo un ceto politico che ha fatto piazza pulita non tanto delle persone, quanto di concetti (evidentemente ‘vecchi’) quali contrattazione, bilanciamento dei poteri, trattativa, ascolto e così via.

Ora, il tratto dilettantesco e inetto – ma, suvvia, tanto tanto giovane e nuovo! – della classe dirigente che fa capo a Matteo Renzi, si è manifestato in tutto il proprio splendore all’esito delle recenti elezioni amministrative. Non è stata la prima volta e non sarà l’ultima. Ostilità, invece di curiosità; saccenza, invece di autocritica; aria di sufficienza, invece di capacità di imparare e comprendere. Il voto M5S a Torino è arrivato in buona parte dalla destra? Ohibò, e ci voleva il dottor Stranamore per capirlo? Dopo 23 anni la sinistra cede il governo della città: invece di stracciarsi le vesti e dire che Fassino non se lo meritava, farsi qualche domanda? Mandare al macero Ignazio Marino e poi dolersi della sconfitta a Roma, cos’è, indicatore di lungimiranza? Che Milano fino a ieri avesse Pisapia e ora, sotto le insegne dello stesso partito, il signor Expo, che ancora non ne ha reso pubblico integralmente il bilancio e che fino all’altroieri era uomo di destra (lo è ancora oggi, cosa poco significativa per coloro che sostengono che destra e sinistra siano concetti del passato), cos’è, evoluzione della specie?

E’ in atto, a livello mondiale, una mutazione politica e quindi di voto, che dovrebbe incuriosire, far dubitare delle proprie scelte, rivedere metodi e concetti, provare a sedersi venti ore di fila (anche a muso duro, ben s’intende) con i sindacati tanto per cambiare, invece di passare gli “happy hour” con Confindustria e Confcommercio, che per carità, saranno e sono certamente interlocutori istituzionali, ma diamine, un governo di centrosinistra non è il Presidente della Repubblica, il quale ha il dovere dell’equanimità e dell’equidistanza! Un governo di centrosinistra ha un preciso elettorato, con precise esigenze e precisi diritti di avere un futuro. Negli Usa Bernie Sanders si è rivelato tutt’altro che una meteora e il prossimo candidato democratico alla Casa Bianca dovrà tenerne conto; in Gran Bretagna il referendum sulla cosiddetta ‘brexit’ è molto di più di uno sfogatoio populista; in Francia e in Spagna i movimenti non solo studenteschi ma di lavoratori – di qualsiasi ceto – rappresentano un malessere che ormai ha doppiato il non arrivare a fine mese, il non poter mettere su casa, il dover tagliare vacanze e spese extra: non è più neanche solo un semplice malessere, si tratta di una vera e propria patologia, grave e ormai endemica. Della tragedia socio-economica che si sta consumando in Grecia e dell’umiliante svendita operata da Tsipras non si parla più, allo stesso modo in cui non si parla più di un conoscente affetto da un male incurabile. La svolta conservatrice in Sudamerica, pure, ci fa vedere la presenza di storici mutamenti: politici di destra e liberisti puri (sono rimasti solo lì), sono andati al potere non per mezzo di un golpe, triste stimma sudamericano, bensì con libere elezioni e vorrà pur dire qualcosa.

E mentre nel resto del mondo si avvertono segni di cambiamento, nel nostro pollaio non ci si occupa più di operai dato che l’industria arretra; e al futuro dei loro figli cosa si offre? Il Job’s Act, vale a dire la stabilizzazione della precarietà. Totò direbbe ‘e poi dicono che uno si butta a sinistra’, ma oggi varrebbe anche la destra. Da noi ci sono ministri e rappresentanti politici che susciterebbero un minimo di simpatia per la loro impreparazione e dabbenaggine, se non fosse per la loro arroganza – tipico atteggiamento di chi non sa accettare le critiche, mancando totalmente di capacità dialettica – che provoca sentimenti tutt’affatto diversi. E lo si dica fuori dai piatti, perché è il momento: spiace che nel Pd la più gran parte di questa arroganza mista a disprezzo, mista a inanità politica, mista a tronfia autoreferenzialità, venga espressa da donne. Parrebbe quasi che fossero state scelte a bella posta da una congrega di misogini, messe lì a starnazzare al fine di dimostrare che, vedete, le donne sono così: solerti, lavoratrici, si dedicano al compito affidato, ma a governare, a prendere decisioni, a esporre in pubblico le proprie opinioni e i propri progetti senza dare l’idea dell’isterismo sotto traccia nel tono di voce e nel respiro affannoso, proprio non sono capaci.

Un soggetto politico seriamente di Sinistra dovrebbe avere la capacità di analizzare e capire: niente di particolarmente rivoluzionario, sarebbe l’abc della politica. I sommovimenti che vengono sbrigativamente definiti populisti, il distacco dal voto, la scarsa partecipazione a qualsiasi forma di decisione collettiva, la crescente impermeabilità a ogni denuncia di corruttela o malgoverno, sono tutti segnali che provengono da una società formata da persone rese sole, indifese, senza tutela, ognuno per sé e dio contro tutti, messe l’una contro l’altra e tutte insieme singolarmente contro l’immigrato; il lavoro, che è uno dei pilastri – culturali, prima di tutto – su cui si basa la nostra Costituzione, è svilito, svenduto a un tanto a ticket (qualcuno si alzi e provi solo a dire che vent’anni fa, non un secolo, avrebbe lontanamente immaginato lavoro retribuito a mezzo acquisto di tagliandi in tabaccheria); il solco fra adulti e giovani, fisiologico almeno fino a un certo punto, sta diventando (se non lo è già) un burrone non più valicabile e anche qui si sprecano i giudizi sprezzanti nei confronti di persone che dovrebbero amare una società iniqua che non piace neanche a noi che abbiamo contribuito a crearla. Tutto questo messo insieme rappresenta l’estrinsecazione di una gigantesca schizofrenia sociale che DEVE, in un modo o nell’altro essere ricomposta.

Bisogna (ri)cominciare a fare analisi, impiegare tempo nel cercare di capire dove si è sbagliato e dove sono riusciti gli altri. Se un domani Checco Zalone fondasse un partito e nel giro di cinque anni prendesse dieci milioni di voti, invece di coprire di insulti lui e quelli che ne rappresentano le idee, bisognerebbe capire come e perché ci fosse riuscito. Nello specifico, le elezioni amministrative ci hanno ricordato per l’ennesima volta la necessità di un ceto politico più preparato: magari meno appariscente e declamante, che sia più vicino alle persone e alle esigenze di una collettività ansiosa e disillusa. E siccome le situazioni e le svolte politiche non vivono da sole, isolate dal resto del mondo, il pensiero deve immediatamente andare all’Unione Europea, probabilmente il meno democratico consesso politico-economico che l’Occidente abbia visto in secoli di storia; perché, sembra proprio avere ragione Gianni Vattimo, intervistato ieri subito dopo il voto della sua Torino, secondo il quale, a prescindere dalla preferenza espressa, un sindaco varrà l’altro, fino a quando esisterà quel cancro della rappresentatività politica che passa sotto il nome di vincolo di bilancio.

E questo concetto, sì, andrebbe ripetuto fino alla nausea.

Cesare Stradaioli

3 commenti su “E adesso, poveri uomini e donne?

  1. tutto bene, complimenti per l’articolazione densa dell’analisi. Però al di là di capire le ragioni di fondo, su cui solo gli idioti potrebbero non essere d’accordo, basterebbe comprende il banalissimo, primissimo livello della politica, che è quello di non bastarsi, di trovare alleanze congrue, per quello che offre il “mercato”, perché da soli non si è mai vinto, figuriamoci a sinistra, in Italia. Allora certo che queste elezioni confermano che il pd è nel pieno del suo naufragio identitario, però c’è pur sempre una Milano che dimostra che allearsi a sinistra-centro significa anche vincerle le elezioni. E Sala, piaccia o meno, è il candidato che ha vinto le primarie. Il buon Pisapia, uno che ovviamente nessuno seguirà a sinistra perché è pur sempre meglio creare un nuovo cespuglietto per poi sparire matematicamente che seguire un esempio virtuoso e aperto, pur sapendo di venire da un altro album di famiglia rispetto a quello di Sala, ha correttamente appoggiato il candidato liberamente eletto dal centrosinistra alle primarie proponendosi di lavorare per creare un ponte vivo tra le diverse anime del centrosinistra non solo a Milano. Magari glielo facessero fare…
    Come diceva Mauro è vero che Renzi è arrogantello e pieno di sé e crede bellamente di poter fare a meno di una storia certo anche scalcagnata, ma secolare, però è altresì vero che il buon Matteo, pur essendo stato eletto in maniera lineare come leader del partito alle primarie, dai quadri incrostati del partito stesso è stato sempre visto come un intruso, a partire dal baffetto supponente e dai suoi discepoli. E allora possiamo certo guardare Corbyn e Sanders con simpatia e speranza, però consapevoli che Corbyn e Sanders una volta arrivati eventualmente secondi lealmente riconosceranno i primi delle loro formazioni di appartenenza e li supporteranno per vincere contro le destre. E’ proprio questo banale, quanto nodale, primissimo livello della politica che proprio non è sufficiente a soddisfare le ben più estese aspettative, future e progressive…, delle menti lucidissime della sinistra italiana.
    Poi, certo, può non bastare comunque se non si riesce a parlare al proprio elettorato di riferimento, elettorato che però ormai, non solo in Italia, sfugge sempre di più a ogni comoda categorizzazione. Però nel frattempo banalmente parlarsi, riconoscersi, allearsi in un largo centrosinistra forse sarebbe già sufficiente per portare a casa una vagonata di voti in più. Però accettarsi significa cedere una parte importante delle proprie ragioni, aspettative, convinzioni. Cosa difficilissima per i duri e puri della sinistra italiana.

  2. Condivido parola per parola quello che hai scritto. Complimenti anche per la bella prosa.

  3. Commento:
    tutto bene, complimenti per l’articolazione densa dell’analisi. Però al di là di capire le ragioni di fondo, su cui solo gli idioti potrebbero non essere d’accordo, basterebbe comprende il banalissimo, primissimo livello della politica, che è quello di non bastarsi, di trovare alleanze congrue, per quello che offre il “mercato”, perché da soli non si è mai vinto, figuriamoci a sinistra, in Italia. Allora certo che queste elezioni confermano che il pd è nel pieno del suo naufragio identitario, però c’è pur sempre una Milano che dimostra che allearsi a sinistra-centro significa anche vincerle le elezioni. E Sala, piaccia o meno, è il candidato che ha vinto le primarie. Il buon Pisapia, uno che ovviamente nessuno seguirà a sinistra perché è pur sempre meglio creare un nuovo cespuglietto per poi sparire matematicamente che seguire un esempio virtuoso e aperto, pur sapendo di venire da un altro album di famiglia rispetto a quello di Sala, ha correttamente appoggiato il
    candidato liberamente eletto dal centrosinistra alle primarie proponendosi di lavorare per creare un ponte vivo tra le diverse anime del centrosinistra non solo a Milano. Magari glielo facessero fare…
    Come diceva Mauro è vero che Renzi è arrogantello e pieno di sé e crede bellamente di poter fare a meno di una storia certo anche scalcagnata, ma secolare, però è altresì vero che il buon Matteo, pur essendo stato eletto in maniera lineare come leader del partito alle primarie, dai quadri incrostati del partito stesso è stato sempre visto come un intruso, a partire dal baffetto supponente e dai suoi discepoli. E allora possiamo certo guardare Corbyn e Sanders con simpatia e speranza, però consapevoli che Corbyn e Sanders una volta arrivati eventualmente secondi lealmente riconosceranno i primi delle loro formazioni di appartenenza e li supporteranno per vincere contro le destre. E’ proprio questo banale, quanto nodale, primissimo livello della politica che proprio non è sufficiente a soddisfare le ben più estese aspettative, future e progressive…, delle menti lucidissime della sinistra italiana.
    Poi, certo, può non bastare comunque se non si riesce a parlare al proprio elettorato di riferimento, elettorato che però ormai, non solo in Italia, sfugge sempre di più a ogni comoda categorizzazione. Però nel frattempo banalmente parlarsi, riconoscersi, allearsi in un largo centrosinistra forse sarebbe già sufficiente per portare a casa una vagonata di voti in più. Però accettarsi significa cedere una parte importante delle proprie ragioni, aspettative, convinzioni. Cosa difficilissima per i duri e puri della sinistra italiana.

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