IL LIBRO DEL MESE DI GIUGNO Consigliato dagli Amici di Filippo

Slavoj Zizek non è uno che le manda a dire e per solito non fa sconti a nessuno. Il che ha contribuito a far sì che spesso i suoi interventi suscitino polemiche e scambi di opinioni non sempre all’acqua di rose e di frequente fra altri interlocutori, pro o contro la sua tesi del momento. Succede, a non cedere mai su alcun terreno, rispetto ai propri principi. In questo ultimo lavoro, l’Autore non fa eccezione e ne ha per tutti.

Va detta una cosa, quale premessa: il titolo è, se non brutto, quanto meno poco appropriato, dato che l’originale (in inglese) suona più o meno ‘Contro il doppio ricatto’; ma il sottotitolo, del quale prego chiunque di non fare caso e tralasciarlo – Rifugiati, terrorismo e altri problemi coi vicini – è davvero non solo orribile in sé ma anche stolidamente equivoco. L’equiparazione balza agli occhi e non è un bel vedere.

Detto questo, il doppio ricatto di cui tratta il titolo sarebbe la morsa che, in questo frangente storico, stringe l’Occidente e segnatamente l’Europa: da un lato il delirio anti-immigrazione della peggiore destra più becera (potendo, vorremmo chiedergli se, a suo avviso, ne esiste una, che vada al di sopra del qualcosina per cento e che non sia né peggiore né becera), dall’altro la barbarie teonazista dell’Isis, sempre che la religione c’entri qualcosa con gli esecutori materiali degli attentati, considerato che la più gran parte di loro non parla e non legge in arabo, dunque quello che sa, o crede di sapere sui dettami del Corano, o l’ha letto nella propria lingua – violando così, integralista da strapazzo, uno dei principi base dell’Islam e cioè che il Corano non può essere tradotto – oppure gliel’ha raccontato qualcun altro e per cui lasciamo perdere. Nel mezzo, un pensiero di sinistra talmente debole e rachitico da non essere in grado di offrire altro che soluzioni tanto corrette politicamente quanto irrealistiche, con l’aggravante di saperlo benissimo, che realizzabili non lo sono neanche per sbaglio.

Viene, però, il sospetto che il doppio ricatto non veda l’Isis come una delle due ganasce che stanno stritolando l’Europa, quanto proprio il devastante – culturalmente e non solo, parlando – dualismo fra la soluzione proposta dai populisti contrari a ogni forma di immigrazione, che vorrebbero più muri e meno ponti e quella di coloro i quali propugnano ad minchiam (come avrebbe detto il mitico professor Scoglio) confini aperti per tutti, appunto con la piena consapevolezza che una cosa del genere, oltre a essere oggi come oggi praticamente impossibile, ove mai potesse miracolosamente attuarti, comporterebbe conseguenze che definire disastrose sarebbe usare un eufemismo. La buttano lì e poi continuano la cena cambiando canale per non vedere gli annegamenti e i bambini morti sulla spiaggia. Zizek parafrasa Stalin, sostenendo come entrambe le soluzioni siano le peggiori.

E’ chiaro come l’interesse critico e propositivo di Zizek si rivolga a sinistra, nell’ottica di dare un contributo alla formazione di un pensiero di sinistra che possa essere maggiormente profondo di quello che galleggia stancamente da oltre un ventennio, presso le cancellerie e le opposizioni: in tal senso, l’Autore individua una serie di tabù da superare senza esitazioni di sorta. Il primo è quello che esorta ad ‘ascoltare il mostro’, che finirebbe per conferire sempre e comunque dignità a pari livello intellettuale a qualsiasi istanza che il pensiero umano possa produrre, per quanto abietta; si tratta del cosiddetto ‘paradosso di Frankenstein’, altrimenti noto come ‘il paradosso di Hitler’, problema di non poco conto, dal momento che porsi semplicemente come interlocutore di taluno che, in ipotesi, sostenga che i neri sono scimmie, significa prendere in considerazione il concetto espresso.

Il secondo è il mantra della critica all’eurocentrismo, inteso come sinonimo di imperialismo culturale e razzismo; la contraddizione insita in questo tabù sarebbe costituita, secondo Zizek da una paurosa carenza di analisi che, se correttamente svolta, deve portare a prendere atto di come nel mondo globalizzato il capitalismo si sia perfettamente adattato a qualsiasi realtà sociale e religiosa, scendendo definitivamente a patti con il più prono relativismo. Il che porta a concludere come criticare nella sua totalità il pensiero occidentale, creatore e realizzatore di principi quali welfare, egualitarismo e diritti umani fondamentali, che potrebbero fungere da contrasto e opposizione allo sviluppo del mercato capitalistico globale, in un momento in cui, di fatto, toglie qualsiasi parvenza di democrazia agli sviluppi capitalistici nei paesi asiatici, non sarebbe altro che un clamoroso autogol.

Ma il tabù più radicato, per quanto più recente e maggiormente difficile da abbattere è quello della critica all’Islam, intesa come equiparazione <critica all’Islam=islamofobia>, che anche solo a leggerla rivela la propria palese scempiaggine, del tutto paragonabile a quella, altrettanto sciocca e odiosa <critica a Israele=antisionismo>. Dubita, l’Autore, che si possa parlare di Islam ‘moderato’, da contrapporre a quello integralista che ha dichiarato la Jihad al mondo infedele: tale dubbio, che sicuramente è l’istanza di questo lavoro che è destinata a suscitare maggiori dibattiti e scontri ideologici, si basa principalmente sulla constatazione secondo la quale se per Paese ‘moderato’ si intende l’Arabia Saudita con il suo portato di comportamenti che prevedono la pena di morte e le pesanti esclusioni delle donne dalla vita in sé – pubblica o privata che sia – per non parlare del suo profondamente radicato inserimento nel mercato globale, viene da chiedersi chi abbia bisogno di un Islam integralista.

L’attacco al tabù della critica all’Islam mette in conto anche la constatazione, che pare non altrimenti confutabile stando alle cronache, per la quale le proteste delle banlieus in fiamme non contengono la benché minima istanza politica, mancando le proteste di qualsiasi tratto propositivo o di protesta per quanto rozza e abbozzata.

Spontaneo viene il chiedersi ‘Che fare?’, che opportunamente intitola l’ultimo capitolo e non pare, a livello di prospettive, un quesito tanto più leggero di quello che si pose a suo tempo Lenin, anche senza scomodare Massimo Cacciari, nel suo sostenere che il fenomeno dell’immigrazione di massa che stiamo osservando da anni, modificherà in maniera irreversibile le strutture sociali, politiche e culturali del vecchio continente. La domanda è particolarmente insidiosa e l’argomento non lo è da meno, anche perché Zizek prende per così dire la rincorsa da quanto è accaduto nella notte del recente ultimo dell’anno a Colonia; in materia, l’Autore la mette giù dura e, in cauda venenum, ci pone di fronte a una riflessione fastidiosa per quanto inevitabile. A proposito dei fatti di Colonia, secondo Zizek, pretendere di insegnare agli immigrati che i nostri costumi sessuali sono diversi dai loro è indice di straordinaria idiozia, in quanto essi lo sanno benissimo e con tutta probabilità fanno quello che fanno proprio in aperta sfida alla nostra sensibilità e ferirla. Invece di dire loro quello di cui sono perfettamente consci, andrebbe fatto quanto necessario per disinnescare quella tremenda bomba sociale che nasce dall’emarginazione o dal semplice assistenzialismo (metti diecimila adolescenti in una periferia, senza prospettive né culturali né di lavoro e di emancipazione sociale, con 400 euro al mese per sopravvivere e qualcuno provi a dire che non ne nasca rabbia, frustrazione, ribellione acefala).

E allora, in sintesi e in definitiva: centri di accoglienza nelle vicinanze dei luoghi di crisi e immigrazione; redistribuzione verso i luoghi di potenziale insediamento; formulazione chiara ed esplicita di un minimo di regole obbligatorie per tutti, al fine di rendere chiaro a chi intenda entrare in Europa che le leggi ci sono e vanno rispettate entro gli ampi confini della libertà sessuale e di culto e della tolleranza reciproca, con applicazione di precise sanzioni.

E’ ormai assodato in qualsiasi studio sociologico che colui il quale emigra per necessità, per prima cosa ha bisogno che gli vengano spiegate regole chiare alle quali attenersi e non semplicemente accolto e buttato in una discarica sociale quali centri di accoglienza, ex caserme e luoghi di totale estraniazione umana.

(Verrebbe da aggiungere qualcosa di preciso all’analisi di Zizek; l’altro mantra ‘aiutiamoli a casa loro’, andrebbe bene se questo aiuto PRIMA DI TUTTO consistesse nella totale e immediata cessazione della produzione e vendita di armi nei luoghi di guerra. Sarà un piccolo inizio, ma se mai si comincia mai si arriva.)

Quanto all’immigrazione, secondo l’Autore essa è il prezzo che paghiamo per la globalizzazione economica, che con la libera circolazione delle merci e la chiusura delle frontiere per gli esseri umani, ha creato una sorta di vero e proprio apartheid globale e non più solo ristretto a questo o quello Stato. Ed è qui che sembra voler arrivare Zizek: di quale emancipazione e progresso per i popoli del cosiddetto Terzo Mondo stiamo parlando, quando parliamo di mezzi di produzione installati in loco, fino a quando si spreme quello che si può spremere per poi, con altrettanta rapidità e ‘libertà economica’, delocalizzarli altrove al fine di reperire manodopera a sempre minor costo, per consentire a noi occidentali di risparmiare sugli acquisti?

La risposta al ‘Che fare?’, per quanto riguarda noi europei, è tanto semplice quanto difficile: garantire una dignitosa sopravvivenza a coloro che giungono in fuga dalla guerra, dalla miseria e dalla persecuzione politica o personale. Il futuro è fatto di progressive migrazioni e non solo verso l’Europa – ve ne sono di epocali anche all’interno dell’Africa, con il consueto corollario di insofferenze, persecuzioni, respingimenti – e sarà bene farsene al più presto una ragione: prima ci renderemo conto che un determinato livello di benessere economico appartiene al passato e non sarà né e breve né in lungo periodo riproducibile e meglio sarà.

Cesare Stradaioli

Slavoj Zizek – La nuova lotta di classe – Ponte alle Grazie – pagg. 142, €13