TODOS CABALLEROS-NINGUNO CABALLERO

Mi trovo fra coloro che, difendendo letteralmente a spada tratta la Costituzione, a dispetto delle contumelie di coloro che la vorrebbero ridurre a norma ordinaria – intanto la facciamo, che ce lo chiede l’Europa, ce lo chiede Nonna Papera o chiunque altro, poi vediamo cosa, dove e come si può cambiare qui e là; gli è andata male nel dicembre del 2016: c’è da stare tranquilli che ci riproveranno – ritiene che una qualche modifica, esclusivamente nei riguardi di norme che abbiano esaurito la loro funzione, sia necessaria. E con ciò intendo questo: ritengo che un emendamento all’articolo 67 della Costituzione – “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.” – non sia procrastinabile oltre.
Si tratta, sia detto una volta per tutte, di una norma di altissimo valore, più che altro simbolico (ma una Costituzione è per forza di cose fatta anche di simboli), dettata da uno spirito costituente innervato dalle migliori menti di cui l’Italia disponesse all’epoca. Prova ne sia il fatto che non pochi Paesi, specie emersi dagli anni ’60 in poi, abbiano preso a modello la Costituzione della Repubblica Italiana per redigere le proprie. Una norma composta da due diverse affermazioni, di portata storica formidabile; la prima eleva a rappresentante della Nazione ogni singolo deputato e senatore: la seconda lo libera dal vincolo di mandato, conferendogli una libertà di coscienza e di espressione del proprio pensiero, allora del tutto innovativa.
Il fatto è che pensare di conferire a ogni singolo parlamentare una tale libertà di opinione e azione, è senza dubbio figlio di quei tempi. E’ probabile che chi l’abbia concepita e messa nero su bianco – molti di coloro che l’approvarono, forse, un po’ meno – fosse convinto che chiunque sarebbe stato candidato a ricoprire una così alta carica, l’emblema stesso della partecipazione a uno dei tre Poteri su cui si basa lo Stato moderno, avrebbe avuto (e se non l’aveva, avrebbe imparato a dotarsene) un tale spirito di servizio, oltre che un’onestà di base non scalfibile da qualsivoglia promessa o minaccia, da non approfittarne mai. O raramente.
Todos caballeros, come si dice; un consesso di gentiluomini, di estrazioni sociali e orientamenti politici fra i più diversi e non di rado conflittuali, chiamato a letteralmente ricostruire le basi politiche, sociali e civili di uno Stato – che aveva appena mutato forma, passando da monarchia a repubblica; e poi restiamo impressionati da fatti che accadono in questi anni: assolute quisquilie e pinzillacchere, se comparate all’esito del referendum successivo alla guerra – non poteva che dettare norme per una indefinita serie di altri consessi di altrettanti caballeros. Difficile pensare che qualcuno, fra i relatori di questo articolo, immaginasse che, decenni dopo, il passaggio da un partito all’altro, addirittura da uno schieramento politico all’altro, avrebbe costituito avvenimento normale per quanto deprecabile. Nelle menti di costoro, probabilmente, si immaginava che l’onorevole Tizio o il senatore Caio, scopertisi in insanabile disaccordo con il proprio partito su una determinata serie di gravi questioni, avrebbero preferito dimettersi da parlamentare, essendo venuto meno il rapporto fiduciario, necessariamente a doppio senso, che lega eletto ed elettore tramite il partito che l’aveva candidato, per lasciare posto ad altri, che meglio di lui avrebbero coltivato le istanze politiche di chi aveva votato quel partito e quei rappresentanti.
Erano altri tempi. Con tutti i limiti che la Storia non manca di ricordarci: tutto molto bello, come si dice, in quella Carta Costituzionale, se non ché, per dirne solo una, le donne avevano appena conseguito il diritto di voto, ma avrebbero dovuto aspettare un ventennio – 1965 – prima di accedere al terzo dei poteri statuali, quello giudiziario, finalmente ammesse a fare parte della Magistratura; cosa che i nobili padri costituenti, bontà loro, evidentemente non reputavano ancora meritevole di inserzione nella Costituzione, che pure all’articolo 3 rigettava, fra le altre, qualsiasi distinzione di sesso.
Le cose sono cambiate ed è tempo che venga messa mano all’articolo 67 per fare in modo che lo sconcio, la vergogna del cosiddetto ‘cambio di casacca’, ancora avveleni e distorca la vita e le attività del Parlamento. E’ tempo che si prenda definitivamente atto, anche al massimo livello normativo, di una cosa che sanno anche i bambini: non ci sono più i gentiluomini di una volta, ovvero si sono grandemente ridotti di numero e le Camere, che dovevano vedere seduti in quei banchi il meglio dell’onestà e dello spirito di servizio, sono diventate davvero dei bivacchi di manipoli, perfino peggio di quelli che minacciava di portarci Mussolini, e puttane di ogni sesso in vendita sul libero mercato elettorale – che dio, o chi per lui, ci maledica per avere consentito questo.
E’ tempo che la norma sia modificata: ci sono, o ci dovrebbero essere, tecnici e studiosi costituzionali in grado di comprendere esattamente il problema e renderlo chiaro e forte, concretandolo in un emendamento che – vedano loro come: non spetta a me, non spetta a noi – ponga fine al mercimonio dei posti in Parlamento. Chi è eletto nell’ambito di un partito o di un gruppo, un movimento, lo si chiami come si vuole, deve obbedire a un vincolo di mandato. Che ha, prima di ogni altra cosa, verso gli elettori. Rimanga senz’altro l’altissimo ruolo di rappresentante della Nazione: ognuno se la veda, poi, con la propria coscienza, se ne possiede una e se è solito prestarle ascolto; ma il vincolo, UN vincolo deve assolutamente esserci. Diversamente, i concetti stessi di campagna elettorale, di esposizione di programmi, di illustrazione di argomenti tesi a convincere ogni singolo elettore della bontà di quella specifica scelta elettorale, perderebbero ogni senso reale e concreto – se ne hanno conservato alcuno, dopo tutti questi anni e questi scambi di favori.

Cesare Stradaioli