NON CONDIVISIBILE NON DIFENDIBILE

Signor Presidente della Repubblica,
no.
Non sono d’accordo con Lei e non condivido il Suo comportamento.
Mi rivolgo a Lei, ignorando volutamente le mosche cocchiere che, con fragor di tuoni e furor di lampi ragionano e parlano a capocchia, improvvisandosi – non richiesti – Suoi difensori d’ufficio.
Nel campo degli studi che si occupano di scienza del comportamento ci sarà senza dubbio una definizione, una categoria per dare un nome a quel particolare modo di ragionare che, a titolo di esempio, porta l’interlocutore A, al quale l’interlocutore B dice che non gli garba il suo modo di vestire, a rispondergli piccato: “Stai attentando alla mia libertà di vestirmi come mi pare!
E’ un po’ quello che fanno queste mosche cocchiere, specialmente i redattori dei principali quotidiani nazionali, che vanno a raccogliere (o, forse, se le inventano) decine di opinioni dei lettori che “testimoniano” l’attaccamento alla figura del Presidente della Repubblica, benedicendo la buona sorte italiana di averci dato l’istituzione del Quirinale, e maledicendo per contro i nuovi barbari che vogliono comprimere e infine ridurre al minimo il peso del ruolo da Lei ricoperto. A fronte di una critica, non altrimenti interpretabile rispetto al senso letterale che ha, condivisibile o meno, secondo la quale Ella, opponendo un rifiuto alla nomina di un certo signore quale ministro del governo M5S-Lega, è uscito dall’ambito dei Suoi poteri (lascerei perdere i deliri che chiamano all’impeachment: parlassero e scrivessero in lingua italiana, una volta ogni tanto!), costoro levano alti lai, chiamando a raccolta i patrioti italiani, tutti stretti e uniti a difendere il Presidente da chi vuole impedirgli di porre un legittimo veto su questo o quel ministro, sbandierano a piene mani quasi come fosse una vela al vento quella Costituzione che fino al 4 dicembre 2016 molti di loro volevano stravolgere e ricordando a tutti qualcosa che neanche il più accanito dei leghisti ha contestato, vale a dire il suddetto diritto di veto.
Ho scritto che mi apprestavo a ignorare quelle mosche cocchiere: me ne sono invece occupato fin troppo e me ne scuso.
Non posso condividere il veto da Lei posto alla figura del professor Savona che, detto per inciso, non conosco personalmente il cui nome a malapena ricordavo quale membro di un non indimenticabile governo Ciampi. Coloro che, in buona fede, rispolverano il veto opposto dal presidente Scalfaro a Berlusconi, allorché ebbe la faccia di palta di proporre al dicastero della Giustizia nientemeno che Cesare Previti, o quello (è notizia di qualche giorno fa, di quelle che politici e giornalisti si scambiano ammiccando e condividono con gli ascoltatori con l’aria di “questa non la sapevate, eh?” – no, davvero non la sapevamo e non fa ridere neanche adesso, detta anni dopo) posto dall’ex Presidente che non nomino, al quale (dovette parere impensabile perfino lui, che di cose impensabili ne disse e ne fece a forconate) sembrò non accoglibile la proposta che Matteo Renzi fece nel 2014 di tale Lia Quartapelle – già membro della Trilateral, una specie di loggia massonica internazionale – come titolare di un trascurabile dicastero quale quello degli Esteri, sono fuori strada. Quelle valutazioni furono sulla persona: sia in quanto il primo all’epoca era sottoposto a indagini (poi processato e infine condannato definitivo), sia in quanto – la seconda – fortunatamente giudicata non opportuna per un ruolo così importante. Giudizi squisitamente politici, che rientravano a pieno nelle prerogative del Quirinale.
Il motivo per il quale Lei ha bocciato il nome di Paolo Savona quale ministro, invece, è basato su ipotesi – azzardatissime, aggiungo, perché a dire certe cose in pubblico bisogna essere molto cauti: Lei, per solito, lo è e questa Sua deplorevole uscita suscita più sorpresa che indignazione – fondate su frasi e scritti presi qui e là, del tutto decontestualizzati e, in ultima analisi, afferenti alle opinioni personali di chi viene proposto come ministro, in questo caso, tu guarda la coincidenza, sull’euro. Non si può, signor Presidente, non si deve esprimere simili giudizi in uno scenario quale quello della presentazione della lista dei ministri, proprio in quanto riferiti alle opinioni. Che, di passaggio, quello che Lei ha detto sia pienamente condiviso da certi personaggi di riferimento della UE o dei cosiddetti ‘mercati’, vale a dire persone non elette e che, pertanto, non devono rispondere delle cose che dicono e fanno, personalmente mi lascia indifferente: penserei e scrivere le stesse cose anche se le Sue idee fossero in linea con quelle di alcuni fra i miei migliori amici – e non le dico le discussioni con alcuni di costoro: al limite e qualche volta oltre l’offesa, tanto poi ci si ritrova.
Non potendo condividere il Suo gesto, che temo consegnerà altri svariati milioni di voti alla Lega – e lo so anch’io che il popolo può essere populista e spesso lo è (abbiamo letto anche noi qualche libro) ma già che lo è di suo, non mi pare il caso di aiutarlo a esserlo ancora di più – è perfino ovvio aggiungere che non posso considerare difendibile la Sua posizione di rappresentante di tutti gli italiani e di contrappeso e garanzia – il senso vero e primo che i costituenti vollero dare alla figura del Presidente di una Repubblica parlamentare. L’errore da Lei commesso è di quelli non emendabili: non fosse altro perché, da oggi in avanti fino alla scadenza naturale del Suo mandato, potrebbe esserLe rinfacciato, a torto o a ragione poco importa; per non parlare del fatto che, qualsiasi altro Suo gesto, diciamo politicamente ‘favorevole’ a quello che ha posto la Sua figura in rotta di collisione con i due partiti che componevano la maggioranza di quel governo mai nato, sarebbe sicuramente interpretato quale gesto riparatore, alla stregua di un arbitro che essendosi reso conto di avere preso un clamoroso abbaglio danneggiando una squadra, ne prende volutamente un altro di segno opposto, a mo’ di compensazione. Si sa che due cose sbagliate non ne fanno una giusta, ma molti fanno finta di ignorare questa perla di saggezza.
Pertanto io mi rivolgo a Lei con un primo auspicio e cioè che prima o poi un governo di una certa stabilità finalmente ci sia in questo sventurato Paese – che servano o meno nuove, immediate elezioni è cosa che mi interessa poco; un attimo dopo di ciò, il mio secondo auspicio è che Lei faccia la cosa più onesta e nobile che potrebbe fare, vale a dire rassegnare le dimissioni. Riconoscere di non essere all’altezza di un compito particolare (non lo devo dire certo a Lei: se mai alle mosche cocchiere di cui sopra) è quanto di più maturo, responsabile e degno di un servitore dello Stato (quale è Lei) si possa immaginare. Lei non ha bisogno di dimostrare la Sua statura di uomo e giurista a persone quali il sottoscritto: lo faccia con quelli che, in buona o malafede (la seconda che ho detto, credo), pelosamente fingono di difendere il Quirinale e invece non fanno altro che difendere le loro figure autoreferenziali e inadeguate a parlare e scrivere di cose più grandi della loro cultura e della loro onestà.
Rispettosamente, La saluto
Cesare Stradaioli – inoltrata il 30 maggio 2018