LE RAGIONI DI UN ‘NO’ – I° – a cura di Cesare Stradaioli

Anzitutto, considerazioni sulla lingua nella quale è scritta la Costituzione e il linguaggio utilizzato nella riforma Renzi-Boschi-Verdini (da adesso in poi, RBV).

Secondo Meuccio Ruini (socialista, presidente del Consiglio di Stato, presidente del Senato e Senatore a vita), “la Costituzione si rivolge direttamente al popolo e deve essere capita” – dichiarazione di apertura dei lavori dell’Assemblea Costituente.

Il nuovo articolo 70, in luogo di 9 parole ne conta 439; l’articolo 71 ne aveva 44, ne ha 171; l’articolo 72, ne aveva 190, ne ha 431.

Non è questione di lana caprina.

La scrittura delle leggi è elemento fondamentale di democrazia, partecipazione e rappresentatività. Da molti decenni le leggi italiane, soprattutto quelle penali, sono scritte in pessimo italiano, di frequente pare che i vari redattori – per ovvie ragioni, quasi mai una legge è scritta da una sola persona – scrivano ognuno per conto proprio senza giungere a una definitiva omogeneizzazione del testo. Il quale testo, spesso è lungo, prolisso, ripetitivo, impreciso, astruso.

Però, le leggi ordinarie, si possono cambiare con una certa facilità. Andrebbero comunque scritte bene, dovrebbero comunque essere organiche al contesto in cui si integrano, però per definizione esse hanno una vita non particolarmente lunga, specie quelle più esposte ai cambiamenti sociali e culturali.

Le leggi ordinarie, inoltre, dovrebbero essere brevi per quanto possibile, anche per facilitarne la comprensione da parte dei cittadini e la loro interpretazione e applicazione da parte delle istituzioni: tuttavia, in determinate materie, una certa complessità è fisiologicamente inevitabile.

La Costituzione non può, NON DEVE essere pensata per essere cambiata ogni decennio. La Carta Costituzionale, per sua definizione, o è ‘definitiva’ (intendendosi con questo termine una durata che, quanto meno, vada oltre le 3-4 generazioni), oppure non è: e in questo senso, DEVE essere anche essere sintetica, in quanto non è deputata a regolare innumerevoli atti, circostanze, comportamenti, decisioni, metodiche di giudizio, scelte legislative, quanto piuttosto deve contenere quelli che si chiamano lineamenti fondamentali della vita della Repubblica. Statuizioni di base, certe, solide, lungimiranti – per quanto possono esserlo le cose fatte dall’uomo.

La riforma RBV è un coacervo di interminabili commi, non di rado disorganici fra loro, ma soprattutto pretenziosi, in quanto pensati e scritti (male) per regole complicate e sconclusionate, che se fossero scritte meglio comunque si adatterebbero di più, per l’appunto, a essere leggi ordinarie o ‘leggi quadro’, più complesse.

In una definizione: è una riforma dettata dalla più retriva forma di interventismo politico da quattro soldi, ignorante, chiassoso, magniloquente, approssimativo e vagamente (ma neanche tanto) autoritario.

E, infine, oltre a essere stata votata da un Parlamento che non poteva farlo, è stata buttata sul tavolo da gioco, invece di essere discussa, sviscerata, esaminata: è stata trattata come una legge ordinaria, che si fa in omaggio al principio che chi vince governa e quindi può e deve scontentare molti.

La Costituzione deve rispecchiare il maggior numero di istanze sociali del consorzio civile in cui si vive, e deve essere approvata pacatamente, senza colpi di mano o di fiducia, senza ricatti o pressioni.

Una Costituzione, come è stato più volte autorevolmente ribadito da Piero Calamandrei, è scritta quando si è sobri, per le volte in cui capita di essere ubriachi. –