In ricordo

E’ davvero così importante che Pier Paolo Pasolini fosse contrario all’aborto? Che avesse in mente e nel cuore una specie di Arcadia premoderna? Che avesse preso le difese delle forze dell’ordine, scrivendo apprezzamenti non certo lusinghieri dei manifestanti?

Sì, lo è. Perché, al netto di decenni di profili abbozzati e poi lasciati perdere, di servi, chierici e corifei più o meno fedeli, fatta la debita tara di opportunisti, truppe cammellate e presuntuosi coglioncelli che faticano a chiedere un tè con il latte a Chelsea ma poi si peritano di tradurre per qualche casa editrice, a un certo punto bisogna dire che il vero ruolo di quello che una volta si chiamava ‘intellettuale’, il suo compito vero e primo è quello di suscitare dibattiti, discussioni: di seminare dubbi, incertezze, riflessioni e, se del caso, anche contrasti, conflitti, per quanto aspri possano essere.

I paragoni sono spesso poco simpatici, ma talvolta vanno fatti non per diminuire la figura di qualcuno e accrescere quella di qualcun altro, ma per provare a esemplificare, senza scendere nel semplicismo, quali possono essere le differenze. Poi, sta al gusto e alla coscienza di ciascuno.

Così, a un certo punto va detto fuori dai piatti, al gelido e distante Italo Calvino e al dinamico e compiaciuto Umberto Eco (tanto per non fare nomi), io preferisco lo sporco, il ruvido, l’inafferrabile Pasolini. Perché sono belle le lezioni americane, saranno affascinanti i voli pindarici dei visconti, dei baroni e dei cavalieri (qualcuno sostiene in parte rubati a Jorge Luis Borges ma non lo dite a sinistra, che si incazzano), sarà simpatico il compiaciuto farci sapere – ci tiene tanto – quanti libri ha letto filo professore, ma l’inquietudine che ancora adesso, a quaranta anni dalla morte, ci butta addosso il poeta friulano è impagabile. Anche e verrebbe da dire soprattutto quando le sue parole irritano, sconcertano, mettono a disagio. E’ quello che deve fare l’intellettuale: mettere a disagio, prendere a sberle i cervellini fritti dalla televisione, dare al pubblico, al lettore esattamente quello che non si aspetta (lo diceva Frank Zappa della musica, anche se dubito che zio Frank avesse mai letto PPP), perché solo così si mantiene vivo e agile il confronto di idee, il filo rosso del pensiero che non può lasciarci nemmeno per un momento.

Poi, dopo, possono non piacere i suoi film – a chi scrive, mica tanto; si può concordare con Asor Rosa sul giudizio dei suoi primi romanzi; chi vuole, se ha tempo da buttare, può avere qualcosa da ridire sul come vivesse la propria sessualità. Tutto quello che si vuole: ma, in definitiva, basterebbe quel formidabile “Io so i nomi dei responsabili” che scrisse sulle pagine del Corriere della Sera, a dare la cifra di uno dei più grandi agitatori della cultura italiana. Il resto sono chiacchiere e distintivo.

Cesare Stradaioli