IL VENTO E LA TEMPESTA

E si stupiscono, pure.
Sono per lo meno quarant’anni che l’educazione civica non viene insegnata nelle scuole se non a pezzi e bocconi e talvolta per la buona volontà di qualche insegnante; si può con ragionevole approssimazione affermare che quasi mai negli anni più importanti per la formazione di una persona e, dunque, di un cittadino mediamente consapevole venga letta, commentata e capita la nostra Costituzione; appare, infine, tristemente ragionevole ritenere – ma gli archivi degli studiosi di statistica traboccano di analisi in proposito, raramente lette e portate alla debita attenzione – come la quasi totalità dei nostri connazionali non conosca i principi fondamentali della Carta che portò l’Italia fuori del buio del fascismo, dell’alleanza con i nazisti, del tradimento di un re indegno, tanto quanto la vergognosa casata reale cui apparteneva e, infine, dalla guerra.
Sempre nel solito ‘Paese normale’, definizione che ormai è pronta per essere consegnata ai sotterranei delle biblioteche, sarebbe materia di esame da primo anno delle scuole elementari, perché è da lì che un bambino deve cominciare a capire che non ci si possa fare giustizia da sé, che l’autorità ha un suo significato, che le regole di convivenza sono a carico di tutti e a tutti è fatto carico rispettarle: crescendo, avranno tempo, quel bambino e quella bambina di comprendere che le leggi, a maggior titolo la Costituzione, sono insiemi di norme scritte da sobri nel caso che ci si ubriacasse e si perdesse il lume della ragione. Nel frattempo, sono necessari i mattoni sui cui si baserà quel processo cognitivo e di volontà.
Nel nostro Paese la Costituzione della Repubblica Italiana è uno degli scritti più nominati e meno letti e questo spiega una grandissima parte dei mali che lo affliggono: niente e nessuno esclusi. Soprattutto dalla responsabilità che ciò stia avvenendo.
Perché se un cittadino non sa che la scuola privata è finanziata senza oneri per lo Stato; che la Repubblica promuove la rimozione delle diseguaglianze sociali; che le forze armate fanno capo a un ministero chiamato non per caso ma per specifica volontà “Della Difesa” (e non, che so, della Guerra che, infatti, viene esplicitamente ripudiata); che l’attività imprenditoriale privata è bene accolta e incoraggiata purché non confligga nel suo operare con gli interessi pubblici; che i decreti emessi dal governo devono avere carattere di necessità e urgenza, onde evitare che prendano il posto del Parlamento; che quello che agli ignoranti, agli eversori, a quelle truppe cammellate della politica e del giornalismo sembra essere (e così intendono che sia percepito) un farraginoso metodo di formare le leggi in realtà fu scientificamente pensato proprio per evitare che qualcuno di quegli imbecilli foraggiati dagli agrari emiliani di turno prendesse il potere con un colpo di mano o che si realizzasse la cosiddetta ‘dittatura della maggioranza’ – circostanza che indusse Jean-Jacques Rousseau a dire che gli inglesi sono liberi una volta ogni quattro anni, quando vanno a votare; che la permanenza della parola ‘razza’ nel passo in cui viene stabilitò che tutti i cittadini hanno pari diritti, dignità e prerogative, lungi dall’essere una clamorosa gaffe da parte dei compilatori, è stata posta in rilievo proprio che rimarcare quello che avrebbe dovuto essere un passaggio concretamente ed effettivemente epocale dal 27 dicembre 1947 in avanti, vale a dire fra l’altro la presa di distanza da un certo linguaggio; che ci vollero dieci anni affinché fosse istituita la Corte Costituzionale, con il tremendo fuoco di sbarramento di una Magistratura, soprattutto quella superiore, formatasi durante il fascismo e ancora saldamente seduta a emettere sentenze in nome di un popolo italiano che avrebbe dovuto essere del tutto diverso. Se una percentuale accettabile di cittadini non sono a conoscenza per lo meno delle quattro acche appena elencate, allora costoro non possono essere definiti tali, bensì semplicemente gente di passaggio, pronta per essere usata come carne elettorale o – si può anche fare a meno di votare – transito di cibo per i detentori dei mezzi di produzione.
Questo è, allo stato attuale delle cose, quanto: e considerato il vento seminato, che qualcuno, vergognosamente anche a Sinistra (o sedicente tale) si stupisca dei disastri provocati dalla conseguente e inevitabile tempesta, ebbene ciò rende la misura della povertà morale e politica del tempo che ci tocca vivere.

Cesare Stradaioli