IL SENSO DELLA STORIA PER L’UMANA PIETA’

E’ Natale e siamo tutti più buoni. Per il vero, considero me stesso e moltissimi di coloro che la pensano come me, come persone di grande bontà. Non riesco, infatti, a trovare parole maggiormente dotate di umana bontà come libertà, uguaglianza e fraternità: perseguire la loro piena esplicazione – tutte insieme, però: la libertà da sola è una bestia feroce senza gabbie – penso sia quanto di più buono, caritatevole, umano e solidale si possa immaginare. Mi risulta essere un dato di fatto che a molti di noi sia stata – e per qualcuno lo sia ancora – contestata una certa durezza d’animo e di comportamenti, poco consoni con il concetto di pietas; ora, senza scomodare Brecht e le sue accorate esortazioni alla comprensione per il fatto di non aver potuto essere gentili (tutt’altre difficoltà, avevano affrontato i suoi coetanei), non è che ci sia stato dato tanto spazio per essere di modi meno ruvidi. Però, insomma, la ricorrenza festiva travolge tutto e tutti, compreso un gentiluomo come Sergio Mattarella, il quale ha ritenuto opportuno, in base alla carica che ricopre, di firmare il trasferimento in Italia delle salme di Vittorio Emanuele di Savoia, della consorte e – a dire il vero non ho capito bene quanti siano – di altri consanguinei.
Concordo del tutto con coloro i quali obiettano, a fronte dei clamori sollevati dall’evento, che sia in ragione del tempo trascorso, sia considerando la situazione politica, sociale ed economica del nostro Paese, trattarsi di chiacchiere di pochissimo pregio e che le menti impegnate nella discussione farebbero bene a occuparsi di altro che i problemi non mancano. Tra parentesi, purtroppo siamo stati abituati a pensare non sempre il meglio delle cose, si potrebbe anche avere qualcosa da dire sul momento in cui questo avviene, cioè in piena campagna elettorale. Vi sono fatti che alzano il livello di scontro fra i vari partiti e movimenti in lizza per le elezioni e ve ne sono che hanno lo specifico compito di distrarre l’opinione pubblica. La traslazione delle salme dei signori appartenenti al fu casato reale della Savoia, pare rivestire a pieno questo ruolo. Tuttavia, saremo anche buoni ma non ancora del tutto stupidi e quindi non si può fare a meno di dire un paio di cose intorno a quanto è accaduto in punto di riesumazioni e traslazioni.

Il Re è morto, abbasso il Re: cioè a dire, che ce ne dovrebbe importare di dove venga sepolto quello che rimane di Vittorio Emanuele e della sua famiglia, ramo femminile o maschile che sia. In sé, assolutamente nulla; se c’è un’amministrazione comunale che ritenga – come pare sia avvenuto – di poter ospitare i resti dei Savoia presso il locale cimitero, faccia pure. Come dicono a Napoli, due palate di terra in faccia non si negano a nessuno. Che sia finita lì, però: i simboli sono simboli e molto dipende dall’uso che se ne fa; che qualcuno di costoro debba anche solo retropensare di pensare di chiedere/pretendere la sepoltura all’interno del Pantheon è cosa da neanche prendere in considerazione e piantiamola lì che è meglio. Entro quelle mura si trovano personaggi che hanno dato lustro all’Italia e NESSUNO dei Savoia pare possa fregiarsi di questo merito. Il punto è che la memoria è un alberello che necessita di continue cure, non potendo sopravvivere con mezzi propri ed essendo continuamente esposto ai rigori del revisionismo, a paragone del quale il Generale Inverno è una passeggiata di salute. 
A tale proposito, che la memoria venga preservata e coltivata presso i discendenti di Vittorio Emanuele e i quattro patetici rimasugli di storia che ancora li sostengono è questione che se fosse ancora viva e lottasse insieme a noi la celeberrima rubrica di ‘Cuore’, denominata “E chi se ne frega“, guadagnerebbe per distacco la prima posizione in classifica. Ciò che davvero conta è la memoria del popolo italiano.
Qualche passo indietro.
Il macello della Prima Guerra Mondiale, l’assassinio di Matteotti, l’ascesa del fascismo, i massacri in Africa, le leggi razziali del 1938, la Seconda Guerra Mondiale, i massacri in Jugoslavia, la fuga dopo l’8 settembre 1943.
Sono tutti episodi storici nei quali Vittorio Emanuele III ebbe un ruolo di responsabilità primaria e nessuno di questi è in discussione, a meno che con il termine discussione e la sua pratica corrente non si intenda anche definire tale l’argomentare che il sole nasca a ovest.
Una classifica di gravità non è possibile e non è neppure politicamente corretta; tuttavia, la fuga precipitosa con armi e bagagli dopo l’armistizio è, a mio personale (umile ma in buona compagnia di eminenti storici e studiosi militari) giudizio la vicenda più infame e vergognosa di tutte e da sola meriterebbe per l’allora regnante (il sostantivo andava bene: l’aggettivo qualificativo, decisamente meno) l’oblio definitivo, altro che ritorno in Italia del feretro. A titolo di esempio, uno per tutti: il nonno di un caro amico e compagno, sottufficiale dei Carabinieri, richiesto di prestare giuramento alla Repubblica di Salò, ricusò di compiere il gesto, avendo come tutti i suoi commilitoni giurato fedeltà alla Corona. L’essersi rifiutato di aderire alla repubblica nazifascista – preservando fedeltà non già e non tanto a quel signore che regnò in Italia per quarantasei anni, quanto al più nobile concetto di monarchia, oltre che alla propria parola di uomo e militare – gli costò quasi un anno di internamento in un campo di prigionia dal quale, pare, tornò parzialmente minato nel fisico e nello spirito, mentre la garrula famiglia reale (la quale, oltre a tutto, parlava la lingua italiana male e con un certo fastidio – non che il parlare fluentemente il francese gli abbia guadagnato la benché minima stima oltre le Alpi: da quelle parti hanno la tendenza a essere poco comprensivi con i traditori), se ne stava al caldo e al sicuro in attesa di tempi migliori, venendo meno – LUI sì, Vittorio Emanuele III – all’impegno preso verso i suoi sudditi, essendosi allontanato per salvare la propria casata, incurante del destino del suo popolo, oltre che degli uomini che in armi lo rappresentavano. A proposito dei quali andrebbe costantemente ricordato quanti soldati italiani ci rimisero la vita o la libertà e come l’Italia a causa della sua fuga fu invasa e sottoposta a occupazione, massacri, collaborazionismo.
Mi pare che possa bastare.
La seconda considerazione è diretta discendenza della prima.
Non solo non esiste al mondo che i signori Savoia riposino al Pantheon, ma trovo francamente osceno e insopportabile che pressoché in tutti i Comuni italiani la toponomastica riporti ancora il nome di Vittorio Emanuele III, come del resto quelli di personaggi quali Luigi Cadorna, che tutto dattero al loro Paese tranne che lustro, onore e fatti di cui menare vanto ed esempio. Personalmente non sono favorevole all’abbattimento o cancellazione di iscrizioni, fatti storici, personaggi e relative effigi: la Storia è fatta anche da uomini e donne non propriamente di specchiata virtù e compassione, ma da loro e non da altri è fatta. E poi noi siamo alcuni fra coloro i quali rimproverano a figuranti quali Alessandro Baricco o Matteo Renzi l’improvvido atteggiamento, sprezzante nei confronti del passato, di chi crede che la Storia e il mondo non esistessero, se non in forma embrionale, prima del loro arrivo.
Un po’ di decenza a livello di minimo sindacale porta a qualche rimozione – quando finiscono una guerra o un ciclo storico si regolano determinati conti e non sempre sono begli spettacoli da vedere – e solo gli ottusi e i nemici della cultura penserebbero di cancellare certi nomi dai libri di Storia e dall’insegnamento scolastico che andrebbe, se mai, arricchito e non impoverito, di nomi e date, sempre in nome dell’ossequio e del culto della memoria. Penso, però, che togliere il nome di Vittorio Emanuele III – come anche quello del massacratore di poveri coscritti della Prima Guerra Mondiale – dall’intitolazione di corsi, piazze, viali o semplici vie, si possa tranquillamente collocare all’interno di quel minimo sindacale e che si possa ancora fare. 
Adesso, subito, che s’è perso anche troppo tempo: anzi, andrebbe fatto ieri.

Cesare Stradaioli