IL LIMITE E LA PAZIENZA

A concordare con il detto marxiano, secondo il quale quando la Storia si ripete, da tragedia muta in farsa, la famosa battuta del principe de Curtis, ‘ogni limite ha la sua pazienza’, è meno stralunata di quanto possa sembrare. In effetti, vi sono circostanze della vita – di ognuno singolarmente o presi tutti come collettività – che comportano tali e tanti pesi, oneri, sofferenze, rinunzie, avvilimenti, da portare ognuna in sé un certo livello di sopportazione, oltre al quale non è possibile andare, neanche sotto la massima coercizione. E non tanto e non solo perché superare quel livello non sia possibile dal punto di vista morale – ché, sotto quel profilo e in linea di principio, la parola ‘impossibile’ non esiste – quanto piuttosto perché dal più immediato e concreto punto di vista materiale, prima o poi si giunge a un passo in cui i numeri, le statistiche e la forza di volontà ci pongono di fronte a un muro invalicabile.

E’ un po’ ciò che significa il detto comune, per il quale alla gente si può rompere le scatole fino a un certo punto e poi basta: in Urss, teoricamente, la vodka era fuori mercato e non ne era possibile l’acquisto se non nei ristoranti i quali, all’epoca, per ragioni economiche non erano accessibili al cittadino sovietico medio, bensì solo ai turisti. In pratica, nel baule di un taxi su due – lo sapevano anche i bambini dell’asilo, inclusi i figli dei funzionari di partito – si trovava una vera e propria rivendita di alcolici e i primi a servirsene erano gli appartenenti alla milizia che regolava il traffico. Perché, proprio in omaggio a quel detto volgarizzato, oltre un certo limite non si può andare.

E’ da chiedersi dove si situi la pazienza di ognuno rispetto al limite in cui sono arrivati povertà, disoccupazione, sistematici bombardamenti in merito all’Europa che vuole questo, il fatto che qualcuno ha deciso che non si debbano infastidire i mercati, la procedura di infrazione che a settimane alterne si sta predisponendo verso il nostro Paese (questa di sanzionare con una multa un Paese che per questa o quella situazione disattende un impegno europeo per mancanza di fondi è una trovata che definire idiota è dire poco – e poi dicono che uno si butta a destra, sempre per citare Totò…), la totale perdita di prospettive future specie per le generazioni più giovani, l’incubo del trovarsi senza lavoro passati i cinquanta, i programmi televisivi che si può non esitare a definire criminali, quando non sono assordanti chiacchiericci autoreferenziali, l’assordante e ammorbante invasione pubblicitaria che ci insegue in ogni angolo più recondito delle nostre vite, spesso preceduta e seguita da ignobili (per fattura e volume) combinazioni di suoni difficilmente definibili come musica, che un tempo erano circoscritti agli ascensori e cose del genere.

Bisogna stare attenti a trattare di simili argomenti: alquanto labile è il confine fra la sacrosanta denuncia civile e la conversazione da scompartimento ferroviario, che assimila tutto al fatto che non ci sono più le mezze stagioni, qui una volta era tutta campagna, la gente non ha più voglia di lavorare e la politica è sporca e tutti rubano. Ma è proprio la banalizzazione forzata, spesso a opera di mezzi di comunicazione e informazione che da cani da guardia contro gli abusi del potere ne sono diventati cani da compagnia, che tende a comprimere nell’ambito della chiacchiera frusta e individualista ogni legittima istanza di opposizione, a costituire una gravissima limitazione del diritto di ognuno a dissentire e a fare valere tale dissenso – ché, se rimane dentro un bar o fra le quattro mura di casa, finisce esattamente per diventare chiacchiera che lascia il tempo che trova.

Fanno male, i rappresentanti istituzionali, anche quelli scarsamente dotati di onestà e senso dello Stato, a sottovalutare tutto ciò. Fanno male a trascurare un malessere talmente profondo e diffuso da quasi non riuscire ad avere un termine per essere definito, come se si trattasse di dare uno specifico nome e colore all’insieme cromatico che emette un caleidoscopio.

Fanno male perché quando l’ultimo o più importante limite avrà messo in chiaro a che livello si trovi la relativa pazienza e questa sarà raggiunta, dato che sul come si gestisce il malcontento la dittatura dispone di notevoli mezzi e intelletto, mentre la democrazia (o qualcosa che le somigli, almeno in copertina) sul punto è, strutturalmente, a corto di idee e mezzi, si creerà un cortocircuito socioeconomico rispetto al quale non basterà più agitare lo spettro della Repubblica di Weimar.

La Storia, che nella dimensione di ognuno può anche essere scritta con la ‘s’ minuscola – poco cambia – si ripete continuamente e con la propria, porta con sé la ripetizione stanca e vuota di quelle che vorrebbero essere risposte di carattere istituzionale e che, per contro, non sono altro che frasi prive di concreto significato, sia come spiegazione di quello che accade sia, soprattutto, di cosa si possa e si debba fare per provi rimedio – se rimedio vi è. Per cui, ecco che di colpo stampa e politica si accorgono che dei voucher vi è stato un vero e proprio abuso; che il PIL è un insieme di valutazioni che può dare una seria e attendibile indicazione – per oggi – solo fra 10 anni e che, quindi, riportarlo come una notizia di adesso è pura mascalzonaggine; che le case crollano perché l’Italia è una zona geologicamente a rischio (ohibò e chi l’avrebbe mai detto:, ma lo è anche il Giappone, però lì costruiscono in modo diverso e non si può certo dire che abbiano densità abitativa inferiore alla nostra; ecco che vi è la legge Severino che impone la decadenza di un parlamentare condannato in via definitiva oltre una certa pena, però non è proprio così (vedi il recente caso del senatore Minzolini); ecco che si scopre, con regolare ripetizione appunto, che le privatizzazioni di questo o quel servizio portano a) l’aumento dei costi, b) il taglio del personale addetto, c) spersonalizzazione dei rapporti con l’utente che rimane solo e d) un servizio peggiore, riservato nella sua parte migliore solo a fasce più abbienti o convenienti per gli azionisti – mi si trovi UN cittadino che preferisca l’allucinante, maleducata e predatoria giungla telefonica di adesso al paternalistico e un po’ lento e scalcagnato (ma non avevano la tecnologia di questi anni) monopolio SIP del tempo che fu o che non rimpianga le FS che lo chiamavano per quello che è, cioè passeggero, invece di ‘cliente’ come accade con Trenitalia; ecco che puntualmente giunge l’allarme evasione fiscale, subito rintuzzato da quello terrorismo o populismo. E via discorrendo, di problema in problema, di banalità in banalità.

Fanno male, si diceva, i politici a sottovalutare l’esaurimento della pazienza dei cittadini. E sbagliano anche gli intellettuali, le grandi firme del giornalismo e della cultura. Male incoglierà anche a loro. Perché, questa è la mia opinione, ci stiamo pericolosamente avvicinando a un momento in cui il limite avrà eroso la pazienza e nel momento in cui qualcuno – singolo o gruppo che sia – senza bisogno di carri armati o di irruzione delle aule parlamentari (cose del tutto improponibili, oggi come oggi in Europa – in compenso i mass media sono già stati quasi del tutto colonizzati da una specie di pensiero unico), si presenterà come unica guida credibile del Paese e imporrà una sorta di legge marziale qui e là edulcorata e adatta ai tempi, troverà decine di milioni di cittadini residenti in Italia che lo sosterranno; che diranno ‘era ora’; che approveranno, perché ‘finalmente qualcuno ha il coraggio di agire’.

Quel giorno, le innervature democratiche di questo Paese, per come le conosciamo, cesseranno di avere effettività; rimarranno lì, a fare bella mostra di loro stesse e della loro totale ininfluenza. Il tutto con l’approvazione di una gran massa di cittadini, impauriti, incattiviti, delusi, avviliti, senza speranza, resi ciechi da odio e propaganda, pronti (e come biasimarli?) ad abbeverarsi a qualsiasi fonte faccia promesse a voce alta e senza contraddittorio.

Quel giorno, i rappresentanti istituzionali e della cultura saranno afoni e i loro volti diverranno grotteschi, nella consapevolezza di non avere più voce in capitolo per chissà quanti anni. Parleranno, per dire le stesse cose che ripetono ora e per questo motivo saranno senza una voce, senza una lingua.

Quel giorno comincerà qualcosa di nuovo eppure già accaduto: legge e ordine, disciplina e allineamento al pensiero corrente, temporanea rinuncia a una certa porzione di diritti in cambio di sicurezza, lavoro, certezza e libertà: il tutto a scapito della vita di qualcuno e della dignità di tutti.

E’ già successo, in Italia e in Europa. E’ la Storia che si ripete diventando farsa, perché un manganello è molto più serio di una buffonata televisiva – ma quest’ultima è infinitamente più moderna ed efficace, data la sua capacità, a differenza del desueto aggeggio, di bastonare un numero infinito di teste con un solo colpo.

Quando il limite raggiunge la pazienza, la consuma e dichiara la Ragione vecchia, fuori moda e non più in grado di presiedere la società e con essa il dialogo, il confronto, la solidarietà. Quel giorno, in nome di una democrazia fasulla e di un concetto semplicemente ridicolo e svergognato di libertà, sarà perfino consentito di dire: “Noi l’avevamo detto.”; tanto, nessuno presterà attenzione.

Cesare Stradaioli