IL LIBRO DEL MESE DI GENNAIO 2016 consigliato dagli amici di Filippo

Si tratta di uno dei libri italiani meno letti – forse il meno letto in assoluto – eppure intorno ai quali più si è discusso, negli ultimi decenni e abbiamo pensato che il quarantennale dell’assassinio di Pasolini meritasse un’analisi dell’ultima opera, quella incompiuta.

E’ un lavoro che, a leggere quanto lo stesso Autore ne scrisse, presentandolo, era nato incompiuto, destinato a esserlo. E’ chiaro che uno scritto pensato per essere complicato di suo, interconnesso fra personaggi privati e fatti politici, dove una certa forma di ossessione sessuale incrocia l’indignazione politica, posto il lettore di fronte a larghe sue parti sotto forma di appunti, aggiunte, parentesi, parole in alternativa fra di loro, si presenta per quello che è, cioè irto di difficoltà: non tanto di lettura – ché la scrittura pasoliniana è ampia, aperta, per nulla ermetica – quanto di comprensione.

D’altra parte, affrontare un testo rimasto incompleto richiede una particolare forma mentale e un approccio decisamente diverso da quello che si riserva ad altri scritti, magari più densi e contorti nella forma, ma pur sempre decifrabili, se non altro in ragione della loro compiutezza.

E’ stato definito un’opera di “disperata archeologia umana” e raramente di uno scritto è stata formulata una definizione così completa e pienamente descrittiva. Al suo interno troviamo registri di altissima poesia e di cupe camminate nello sterco, metaforico e reale, analisi sociali spietate e anticipatrici, in un continuo alternarsi di modernità e reazione, cifre tipiche dell’intera produzione artistica pasoliniana, narrativa, poesia e cinematografia.

Abbiamo ipotizzato che fosse comunque destinato a essere incompiuto: giunti alla fine della lettura, si ha l’impressione che Pasolini, letteralmente, non ne potesse più. Più che di una resa, di fronte a un Potere immane, invincibile e inattaccabile, sostenuto dagli abitanti del Palazzo e, unitamente a loro, da una popolazione abbruttita, imbesuita dalla nuova ricchezza e dalla televisione, si dovrebbe parlare di una presa d’atto. Gli ultimi scritti, mano a mano che si avvicinavano ai primi di novembre 1975 – è chiaro che solo dopo è consentito trarre queste conclusioni – sono sempre più duri, accusatori, diretti, lividi, verrebbe da dire, risentiti.

Quale che sia stata la dinamica della sua morte, crediamo che nessuno potrebbe osare affermare che Pasolini volesse, consapevolmente, morire, che cercasse quella morte così iniqua, in quel modo così abietto: di sicuro, e questo purtroppo è un dato di fatto che risultò subito dalle prime indagini e dall’autopsia, si è trattato di un Calvario, di un martirio e ognuno, dopo avere letto questo libro, è libero di pensare che se la fosse, in qualche modo, cercata.

Espiazione, senso di colpa, vendetta verso un mondo che detestava (infliggersi una morta così atroce da gettare in faccia al Potere, come una specie di prosecuzione del terribile eppure così vero “Io so”, pubblicato poche settimane prima della fine), si dica quello che si vuole. Dalla lettura di questo scritto, oltre a certi momenti di poesia pura, di abiezione rivendicata come stile, oltre a una radiografia spietata e cruda di una certa umanità e di un ceto religioso e politico che hanno fatto della vergogna il loro marchio, si apprezza una considerazione amara, sconfortante: è stato ed è tutt’ora possibile scrivere le peggiori cose su Andreotti, sui petrolieri, sul Papa, era ed è consentito fare nomi e cognomi del Palazzo e non è successo niente, non succede niente, non cambia niente; vai a rompere i coglioni a un giro di prostituzione maschile a Ostia e ti ammazzano come un cane.

Succedevano e succedono ancora cose del genere, in questo disgraziato Paese.

 

Cesare Stradaioli

Pier Paolo Pasolini – Petrolio – Oscar Mondadori, pagine 593, €12,00