I fondi pensione integrativi

Una riflessione sui fondi pensione integrativi è certamente indispensabile ed urgente ma, a mio modesto avviso, non può limitarsi ad una sterile analisi economica sul loro rendimento rispetto ad altri istituti previdenziali. Le posizioni in campo nella nostra discussione non derivano da differenziazioni di giudizio sulla riforma Dini quanto da ipotesi di modifica dell’insieme del sistema previdenziale da mettere in campo oggi. Se così non fosse, francamente varrebbe la pena di abbandonare discussioni che non portano a definire posizioni politico sindacali.

Inizio dicendo che la creazione di forme integrative della previdenza pubblica sono nate prima della riforma Dini sotto forma di decisioni individuali con la sottoscrizione di contratti con banche ed assicurazioni e in limitati casi collettivi in settori di lavoratori della fascia medio alta. Se si vuole dunque esaminare l’insieme del fenomeno non ci si può limitare ad esaminare i fondi pensione contrattuali ma si devono prendere in considerazione i fondi aperti nelle loro svariate concretizzazioni.

La prima osservazione di cui partire consiste nella semplice considerazione che il fenomeno dell’integrazione della previdenza pubblica deriva sostanzialmente dal taglio drastico operato passando dal sistema retributivo a quello contributivo e quindi accettare questo rapporto tra causa ed effetto. Chiunque sostenga la cancellazione o la riduzione del peso delle forme integrative della previdenza ha il dovere di avanzare ipotesi di un nuovo regime pubblico che modifichi la riforma Dini e le sue successive modifiche..

Nessuno può negare che le forme integrative hanno contribuito in varie forme e gradi alla dilatazione del capitale finanziario a scapito di investimenti produttivi e quindi è indispensabile una loro rivisitazione già solo per questo aspetto.

Altro motivo che rende indispensabile una riflessione deriva dalle trasformazioni del mercato del lavoro ( precariato, discontinuità, mobilità tra contratti di lavoro e disoccupazione) e della loro connessione con il sistema previdenziale.

Tanto per fare un esempio si pone comunque il problema per i lavoratori scritti a fondi chiusi, della trasportabilità dei versamenti ricapitalizzati verso altri fondi chiusi con il passaggio da un contratto ad un altro.

Altro elemento da tenere in conto deriva dall’analisi dello stato dei conti dell’INPS. Si deve assolutamente procedere verso l’unificazione dei livelli contributivi e dei rendimenti pensionistici tra i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi. Questa azione renderebbe ben più robusto il sistema previdenziale pubblico ( attualmente sarebbe in attivo di quasi 20 miliardi di euro) e andrebbe accompagnato da un provvedimento che impedisca di scaricare sull’INPS fondi pensioni in deficit come avvenne per i fondi speciali dei dirigenti, dei trasporti, elettrici e compagnia cantando. La legge dovrebbe prevedere prima la modifica delle norme in modo da portare in pareggio i fondi e solo dopo la possibilità di confluenza nell’INPS.

Mentre la differenza tra il sistema retributivo e i fondi integrativi è palese e netta in quanto il primo è prestazione definita mentre i secondi no, questa differenza si è “attenuata” con l’istituzione del sistema contributivo in quanto anche questo secondo dipende da un coefficiente che può essere cambiato annualmente a seconda dell’andamento del PIL e dall’aspettativa di vita.