DUE SPOT

Il primo annuncio pubblicitario si sostanzia in una fotografia.
Una nota casa che distribuisce gioielleria, reclamizza gli oggetti di lusso che pone in vendita e paga una cifra, direi considerevole, per piazzare il messaggio pubblicitario sui principali quotidiani e settimanali. La foto.
Una donna abbraccia un uomo. Il suo uomo. Il quale, lo si capisce subito, le ha appena regalato un prezioso – un anello, un braccialetto oppure un paio di orecchini: non è importante. Lei sorride, con profonda convinzione. Ma non sta guardando lui, quello che le ha fatto lo splendido regalo natalizio: sta guardando NOI, che poniamo lo sguardo su quella pagina pubblicitaria.
Non è, il suo, un sorriso di gioia; lo sguardo non è uno sguardo di felicità. Il sorriso e lo sguardo sono di trionfo e di esibizione. Avete visto, sembra dire, cosa mi ha regalato? Perché lo dice? E perché lo dice a NOI? Che c’entriamo, noi? Non sarebbe più opportuno e garbato e amorevole, che l’immagine pubblicitaria la mostrasse sorridente e innamorata, rivolta a lui? Dal punto di vista della finalità, cioè incrementare le vendite, cosa ci sarebbe di più poetico ed efficace di una donna che guardi negli occhi l’uomo che le ha regalato un sicuro pegno di amore eterno?
Temo che garbo e amorevolezza, come del resto la poesia, non c’entrino nulla, anzi ne sono certo. Sono, mio malgrado, come tutti noi, volente o nolente fruitore di annunci pubblicitari. L’unico modo per rifuggirne, oggi come oggi, sarebbe semplicemente evitare di leggere qualsiasi tipo di carta stampata che non siano libr o di ascoltare qualunque canale radio e televisivo, perfino quelli culturali. Oltre che astenersi dall’andare al cinema e cercare di non provocare un incidente stradale ovvero di sembrare dei sonnambuli, per non farsi influenzare dai cartelloni pubblicitari che infestano le strade delle nostre città.
Insisto: garbo, amorevolezza e poesia non c’entrano. Non ci sono perché non ci devono essere, non servono. E’, per contro, alquanto opportuno, nella mente di chi ha concepito il messaggio, presentarlo in quel modo. Viviamo in un tempo in cui la condivisione di qualsiasi cosa, da quelle più meritevoli alla più bassa schifezza, suona come un imperativo categorico e, specularmente, l’intimità, la riservatezza, vengono visti e vissuti come il simbolo dell’isolamento. E’ un mondo al contrario, un cono rovesciato. Il messaggio pubblicitario di quella foto non può essere – appunto, non è opportuno che lo sia – di amore e gratitudine verso l’amato che ha fatto quello splendido regalo. Il messaggio è rivolto a NOI che stiamo guardando: le braccia cingono l’uomo, ma sono totalmente ininfluenti, contano, per l’appunto, sguardo e sorriso. E il messaggio è: Guardate che roba.

Il secondo messaggio, più semplice e in video, riguarda il cibo per gatti. Un bellissimo felino viene ripreso mentre, forte, aggressivo, in piena caccia – e, dunque, per forza maschio – se ne va alla ricerca di una preda. Che, scopriremo essere una nuova, inutile e idiota delizia per gatti, servita su piatti di porcellana dei quali il povero animale non sa che farsene.
Il messaggio è chiaro, la voce è femminile e si rivolge esplicitaente alle femmine, non ai maschi, della specie umana, e certamente non a quelle della specie felina: soddisfa il suo desiderio, conquistalo. Ovvero: sii ai suoi ordini, compiacilo, assecondalo, perché lui ne ha il diritto e tu sei lì esattamente per quello, perché quello è il tuo ruolo. I vostri ruoli.
Poi ci stupiamo se ci sono uomini che ammazzano la moglie o fidanzata perché vuole lasciarli. Poi ci stupiamo quando sentiamo ragazze adolescenti che autocomprimono la propria libertà in omaggio al fidanzatino di turno, sottomettendosi a un bulletto al quale la vita ha insegnato poche cose ma chiarissime: mi prendo quello che voglio, donne comprese e non esiste che mi si dica di no e già tollero abbastanza che mi tocchi anche chiedere.

Qui e ora, nel nostro mondo, la pubblicità è infame. E, dal mio personale e trascurabile punto di vista, mi riesce sempre difficile capire come possa una donna accettare quelle immagini e quei messaggi i quali, non solo costituiscono veri e propri dettami di comportamento ma, forse è anche peggio, sono pensati e realizzati nell’idea che non ci sia bisogno di convincere: che le destinatarie di quei messaggi siano GIA’ pronte e recettive, poiché l’indottrinamento ha da tempo compiuto il suo percorso e, pertanto, quei messaggi non sono (e non possono esserlo) sottoponibili a critica o elaborazione. Sono pronti per essere seguiti, da persone già pronte a farlo.

Qualcuno di più autorevole di chi scrive, più noto e meglio attrezzato da punto di vista della pratica comunicativa, dovrà pure un giorno alzarsi in piedi e dare il via a un’opera di demolizione culturale del messaggio pubblicitario per come è diventato da un ventennio e oltre, coinvolgendo rappresentanti della politica e della cultura a fare quello, invece di accanirsi su ridicole femminilizzazioni di facciata di parole come sindaca o ministra o sciocchezze del genere, che nel loro essere purissima fuffa non cambiano assolutamente di una virgola il mondo intorno e, nello specifico, la condizione femminile, essendo quello che sono e cioè un’armata brancaleone che neanche fa ridere, intenta a provare a opporre resistenza alla carica portata da una divisione corazzata chiamata pubblicità, che alle lance oppone devastanti bordate ad alzo zero.
Auguri e svegliatevi quanto prima, che c’è ben altro e di più serio da fare.

Cesare Stradaioli