IL GIORNO DOPO I TRE QUARTI DI UN SECOLO

Adesso che la data è stata adeguatamente celebrata, le cose da dire dette, le retoriche ascoltate, le stolide esortazioni a una comunanza di ideali che già aborriva Calamandrei a guerra appena finita, ora si può pensare al domani, per provare a giungere a un secolo con idee e fatti più chiari e definitivi.
Come disse un tempo un eminente rappresentante di una Sinistra alquanto estrema, il fascismo è un problema di igiene pubblica. Quali che siano le forme e le persone che dal 1945 in poi facciano richiamo e appello al fascismo, va detta una cosa piuttosto semplice: nessun dialogo. Non si sta ad ascoltare un fascista, non si presta attenzione a una qualsiasi delle sue idee. Non si rivolge la parola al liquame e dovrebbe bastare qui.
Poiché porsi in una qualsiasi di queste situazioni che implica il confronto reciproco, comporta necessariamente un riconoscimento all’altro e il riconoscimento dell’interlocutore equivale anche e soprattutto a conferire dignità ai suoi pensieri e alle sue opinioni: ciò che non possiamo, non dobbiamo fare più, nei confronti di chiunque manifesti e rappresenti le idee che al fascismo facciano richiamo, per quanto blando e vago possa essere.
Diversamente, come del resto è sempre stato negli ultimi 75 anni, la celebrazione pubblica e privata del 25 aprile mancherà sempre di qualcosa del suo precipuo significato e della memoria che gli cammina a fianco. E’ giunto il momento di dire basta col dialogo, con la comprensione, con il riconoscimento del nemico, quale è, lo si dica, lo si ripeta alla nausea, un fascista.
Pochi mesi prima di chiudere la sua esperienza umana e politica, Robespierre pronunciò parole di portata storica intorno al fatto se Luigi, in quanto regnante deposto, fosse colpevole: nel proclamarlo tale senza esitazioni di sorta, sottolineò l’intrinseca assurdità di un processo a suo carico dal momento che, in quanto celebrazione di un rito giudiziario, il processo in sé – era l’avvocato Robespierre che parlava, prima che il rivoluzionario – deve presupporre l’ipotesi che l’imputato possa essere assolto. E Capeto, proseguiva l’Incorruttibile, non poteva in alcun modo esserlo, stante la colpevolezza intrinseca nel suo ruolo storico: altrimenti e in alternativa, la Rivoluzione stessa non avrebbe avuto alcun senso.
Allo stesso modo, a mio giudizio, il semplice fatto di discutere con un fascista, confrontarsi con lui significa svuotare di significato il senso della Liberazione. Va, pertanto, evitato.
Ma il fascismo è stata una creazione politica e sociale genuinamente italiana: dopo di esso, si sono moltiplicati nel mondo niente altro che replicanti, in divisa o in borghese. Il conio originale, purtroppo, è nostro e non si arriverà mai a una compiuta pratica di vigilanza, vera e significativa, se non ce ne faremo tutti una ragione e con questo intendo rivolgermi a non ristrette fasce di popolazione onestamente autoproclamantesi antifascista. Prendendo la parola durante il celebre convegno di Firenze del 1969, Franco Fortini disse la famosa, profetica frase: Il Vietnam ci dividerà. Come sempre vedeva più lontano di altri ed erano tutti lì convinti che l’adesione alla lotta contro l’imperialismo USA li tenesse uniti; avevano torto loro e ragione lui e temo fortemente che discorsi quali quello relativo all’intima natura non tanto fascista, quanto non antifascista dell’italiano medio, non saranno meno divisivi di quelli che seguirono quel convegno.
Noi possiamo, noi abbiamo – e come noi quelli che verranno dopo di noi – il dovere di studiare la storia, conoscere il fascismo, le ragioni storiche che lo giustificano, analizzare e capire i fascisti, l’animo di chi lo inpose e di chi lo accettò, quasi ovunque passivamente, coloro che lo allevarono, lo crebbero e lo portarono prima al potere e poi al disastro: noi dobbiamo ascoltare LORO, quelli che lo incarnarono, dal vertice fino alla base che applaudiva a piazza Venezia, poiché non è dato altro modo di prevenire una malattia, se non conoscerla, invece di limitarci a curarla quando intasa i pronto soccorso delle coscienze e della società. A costoro, dobbiamo prestare ascolto, non ai loro infami epigoni e ai miserabili revisionisti storici da tre palle a un soldo, i quali non meritano né il nostro riconoscimento né la nostra attenzione; non meriterebbero neppure di essere rappresentati in qualsivoglia forma di partecipazione politica. Ma tant’è: così è stato loro permesso e di questo potremmo prendere cura in un momento a venire.
L’intransigenza dovrà essere la cifra di questo modo di intendere i rapporti di forza i quali, almeno per ora, giocano ancora a nostro favore: o così oppure possiamo parlare d’altro. E dovrà cominciare ad essere applicata, questa intransigenza, non solo e non tanto a proposito delle fole dei treni che arrivarono puntuali sotto il fascismo o le attività di bonifica o di alte scemenze mascherate da folklore e invece profondamente velenose che da sempre, dall’indomani del 25 aprile di 75 anni fa, circolarono libere e impunite come molti che avrebbero meritato la galera e la fucilazione, quanto su disoneste e intollerabili equiparazioni fra fascismo e comunismo e sull’asserito, possibile altro destino che avrebbe potuto avere il fascismo se solo le cose fossero andate in modo diverso.
A chiunque dotato di un minimo di ingegno e che si ponga idealmente a Sinistra, anche nei modi più radicali, non è consentito sottrarsi a una feroce critica e autocritica rispetto a quanti e quali errori furono commessi nel corso delle esperienze politiche succedutesi nel XX secolo, ispirate in ogni caso a principi di uguaglianza, fratellanza e libertà. Mentre deve essere con forza sottolineato e ricordato in tutti i modi come in Italia fino all’8 settembre 1943 (e per molti versi anche fino alla fine della guerra, sotto forma di RSI) e in Germania fino all’ultimo secondo di vita del nazismo, non uno fra i sostenitori di quei sistemi improntati al razzismo, all’odio, alla necessaria e indispensabile diseguaglianza fra gli esseri umani, oltre che alla sopraffazione dei più deboli e alla fisica eliminazione di intere categorie di esseri umani, ebbe mai a muovere una sola parola di critica e di dissenso: non si levarono che sparute, insignificanti voci bisbiglianti. Andava tutto bene, inclusi i campi di lavoro e di sterminio: peccato che la guerra fu persa.
Non molto differente, d’altra parte, fu e tutt’ora è il pensiero di quanti ascrivono a Mussolini l’unico, fatale errore di avere seguito Hitler nel conflitto mondiale: si fosse tenuto da parte, avrebbe probabilmente potuto portare avanti il regime per decenni, magari anche in qualche maniera lucrando la benevolenza dell’occidente schierato dall’altra parte della Cortina di ferro, come riuscirono con successo a fare fino ben a metà degli anni ’70 Franco e Salazar nella penisola iberica. Ci furono penne illustri che cercarono perfino di ridimensionare e ricondurre a coordinate quasi umane la crudeltà di quei regimi – Indro Montanelli fra gli altri: è ora di smetterla con le buone maniere con chi non le merita e ci sputa sopra e chiamare con lo stimma della vergogna cose e persone con i loro nomi. Anche qui, anche in questo modo, con queste parole apparentemente diverse, dall’alto di un titolo di giornalista fino all’ultimo bestione picchiatore, non una sola critica se non quel piccolo particolare del giugno 1940: né allora, né soprattutto adesso.
Ci divideremo anche su questo, nutro pochi dubbi in proposito. Meglio così: sarà più facile riconoscersi e stare dalla stessa parte e tenere distanti anche i sacerdoti della riconciliazioni e delle comunanze di ideali e date, paludati di benevolenza e spirito caritatevole: io non voglio riconciliazioni, perché non ho il dovere di riconciliarmi con chi si richiama a un regime che ha perso una guerra lungamente preparata e dichiarata in nome di un’ideologia marcia, criminale, disumana. Non ho niente da festeggiare con Giorgia Meloni e Matteo Salvini, non aspiro – e non le vorrei da loro – mani tese di alcun tipo.
Meritava rispetto, in qualche caso, chi quella guerra la perse 75 anni fa: nessuno e dico NESSUNO di coloro che vennero dopo e che anche nel modo più blando si ispirino a chi la dichiarò lo merita, né ora, né mai. Chi ritenga di dargliene, tolga dal calendario la data di ieri: in un anno di giorni per fare la pace e mettersi la coscienza a posto ce ne sono tanti altri. Il 25 aprile è NOSTRO e non è negoziabile, né in vendita o a noleggio.

Cesare Stradaioli