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Contro le Primarie

Non era certo necessario attendere lo squallido spettacolo di queste settimane, per poter affermare in tutta coscienza, rubando la battuta a Fantozzi, che le primarie sono “una boiata pazzesca”. Ma forse è necessaria qualche considerazione più tecnica. Proviamo a farla.

Sulla scorta della versione originale USA – perché non ci facciamo mai mancare l’americanata di turno – nella vita politica italiana hanno fatto ingresso qualche anno fa: e come sempre accade quando in una comunità profondamente disorientata e provinciale entra qualcosa di nuovo che sposta l’attenzione dalle vere problematiche esistenti, a sezioni unite e cori unanimi (si contano sulle dita di una mano le voci dissonanti, in proposito) furono considerate la panacea per una politica agonizzante e scarsamente rappresentativa.

Va tenuto a mente come l’Italia venisse da un quarantennio di disastro democristiano, seguito da uno sconquasso giudiziario – ‘Mani Pulite’ – che, come ebbe un giorno a profetizzare l’avvocato Giuliano Spazzali, difensore nel famoso ‘processo Cusani’, si sarebbe risolto in una raffica di mitra a salve, per poi giungere alla tragedia politica, etica e culturale causata dal berlusconismo e dal bar Sport al governo. La crisi della politica non era tale solo in termini di rappresentatività, ma anche di quel diffuso senso di corruzione abilmente sfruttato dagli ideatori e realizzatori della fortunatissima campagna contro la “Casta”, che ha avuto l’unico risultato politicamente e socialmente apprezzabile di costituire un formidabile lavacro per le coscienze di ogni singolo cittadino, facendo sì che a fronte di un politico o di un amministratore evidentemente corrotto, letteralmente sparisse dalla riprovazione sociale il corruttore, cioè il singolo cittadino: l’accanita campagna contro la Casta portò in breve a individuare nella corruzione del politico l’unico elemento rilevante di un rapporto che, per fisiologici motivi, o e a due oppure non è. Oltre al bar Sport, dunque, se non proprio al governo, quanto meno nelle coscienze degli elettori, andava al potere anche il qualunquismo allo stato più puro dell’italiota medio: sono GLI ALTRI a essere corrotti. E’ sempre colpa di qualcun altro.

Se a questo si aggiunge la vulgata veltroniana del cosiddetto ‘partito liquido’, una delle più solenni panzane fatte ingoiare all’elettorato di sinistra – che, infatti, si è liquidato nell’astensionismo e nella scheda bianca, un tempo storicamente qualità proprie della destra e della maggioranza silenziosa – che avrebbe dovuto portare (e, per i nostri peccati, ci è riuscita) a un partito ‘leggero’ come rimedio alla burocratizzazione degli apparati, ecco che per forza di cose i tempi erano maturi per la definitiva personalizzazione della politica, nata da noi con lo sciagurato referendum promosso da Mario Segni sul maggioritario, al quale ovviamente era andata in soccorso tutta la sinistra parlamentare, coi bei risultati che si sono visti.

I partiti sono corrotti? Le segreterie sono incapaci di connettersi alla base? Le liste sono preparate dalle singole sezioni di partito (sai che bella scoperta: negli altri Paesi occidentali invece i candidati li pescherano a caso nelle liste degli uffici anagrafe del comune…)? Tutto il potere al popolo: che sia il popolo a decidere chi debba concorrere per questa o quella carica.

Come? Andando ai seggi delle primarie, indicando un nome.

Ora: prima di tutto, ci risiamo con le designazioni delle segreterie: basti pensare alla candidatura di Sala a sindaco di Milano. Ovvio che molti milanesi lo conoscessero: l’Expo è stata un’eccezionale arma di propaganda. Ma se non fosse intervenuto Renzi in prima persona, a letteralmente imporre il nome di Sala, tutto lasciava prevedere che il posto del dimissionario Pisapia sarebbe stato preso da qualcuno appartenente al suo personale politico, in omaggio a quella ‘continuità con l’esperienza di cinque anni’, menzionata niente di meno che dal presidente del Consiglio stesso, in una delle sue innumerevoli sparate ad minchiam – con un rispettoso pensiero al professor Scoglio, ispiratore di una definizione semplicemente geniale.

Il caso Sala è solo il più famoso, perché riguarda Milano, ma in genere, con le notevoli eccezioni di Marino a Roma e di De Magistris a Napoli, l’andazzo è sempre stato lo stesso: saranno pure i cittadini a decidere, andando ai seggi, ma sempre su nomi fortemente imposti. E allora, dove starebbe la novità, fra le primarie e una lista predisposta dalla segreteria provinciale o cittadina?

E’ incredibile come un quesito, che sarebbe basilare, ormai non venga più posto: come si possa garantire che coloro che si recano a votare per le primarie, siano genuinamente elettori di quel partito? Il fatto è che, oggi come oggi, non si può. Basta presentarsi con due o tre euro, dare il proprio nome e indicare un candidato. Chi e cosa può escludere che ai seggi non si rechino – ovviamente è già successo e succederà ancora – truppe cammellate agli ordini (o al soldo, c’est plus facile) di qualcuno, non necessariamente interno al partito, mandate lì all’unico scopo di escludere un candidato scomodo ovvero – o anche – di favorirne uno più, diciamo ‘organico’, a un certo progetto?

Niente e nessuno può escluderlo e non c’è verso.

Prendiamo realtà locali dove basta un centinaio di preferenze e questo candidato passa e quell’altro va a casa: viviamo nel Paese del campanelli o ci rendiamo conto che settanta-ottanta indicazioni a favore di un candidato, diciamo moderato di centrosinistra, possono essere funzionali e perciò utilizzate da un oppositore politico a quel partito, il quale sapendo di non avere chances di vincere quella singola competizione locale, preferisce appunto favorire un candidato opposto ma moderato, piuttosto che vedere vittorioso quell’altro nome di quel partito, assolutamente contrario a stipulare con l’opposizione accordi sottobanco?

Per non parlare del fatto, anche questo già successo, che le truppe cammellate di cui sopra possono benissimo essere mosse dalla criminalità organizzata – e il Movimento Cinque Stelle ne sa qualcosa, a proposito del cosiddetto ‘caso Quarto’.

Prendiamo una realtà locale: mettiamola insieme ad altre cento e avremo una linea politica a livello nazionale di accordi che portano all’elezione di personaggi compiacenti, accordi funzionali alla realizzazione di un do ut des e magari a più di uno: a meno di non pensare che Verdini offra i propri voti, ad esempio, alla candidatura Giachetti a Roma, per pura amicizia nei confronti di Renzi. E’ chiaro che Verdini – e soprattutto coloro che gli stanno dietro: dovrebbe ormai essere chiaro anche ai bambini dell’asilo come non ci sia MAI un uomo solo al comando e che dietro di lui ci sono ben determinati e individuabili interessi di gruppo – vorrà qualcosa in cambio e certamente lo otterrà.

Voglio dire: le alleanze ci sono, ci sono sempre state; i compromessi esistono e se la politica viene praticata con onestà e spirito di servizio, l’arte del possibile non li esclude a priori. Ma di una cosa vi è necessità assoluta, per quanto spregiudicata possa essere una politica tesa al bene comune: la chiarezza.

Non si spaccino le primarie per quello che non sono e non possono essere: strumento di rappresentatività e di democrazia diretta. Sembrano carenti di rappresentatività i nomi indicati da una segreteria di questo o quel partito? Tanto per cominciare, un partito con una segreteria deve per forza avere un programma preciso, che è quello che manca oggi ai partiti in Italia: e se non è questa una mancanza di rappresentatività, allora bisognerebbe chiarirsi cosa sia, la rappresentatività politica. Un partito serio – non liquido come la diarrea – lo dice, lo spiega, perché per questa o quella legge, chiede i voti dell’opposizione e, se necessario, contraccambia per qualcosa d’altro. Ci può stare: purché sia chiaro e venga detto e spiegato all’elettorato. Il quale solo in questo modo può davvero esprimersi sul punto: dire se questa politica va bene, se si accetta questo modo di governare oppure se il governo o la segreteria debba andarsene a casa.

Mettersi in fila alle primarie, per nomi comunque imposti dal partito (e a destra succede anche di peggio), e trovarsi a fianco dei cittadini che non votano e non voteranno mai per il partito o la coalizione per la quali si fa la fila, ma indicano non tanto a favore, quanto CONTRO un candidato, non è democrazia, non è rappresentatività: è l’ennesimo inganno di un ceto politico incapace, timido e perciò arrogante.

E’ bene saperlo e rendersene conto: chiunque appoggi le primarie deve essere consapevole che, allo stesso modo in cui un corruttore non può chiamarsi fuori dalla corruttela – come vorrebbero i teorici della Casta – dando tutta la colpa al corrotto, così chi partecipa a un metodo truffaldino per giungere a una candidatura, non potrà poi chiamarsi fuori dalla truffa elettorale che ne conseguirà.

Cesare Stradaioli

2 commenti su “Contro le Primarie

  1. Bravo!! Clap, clap,clap!!.. pensare che all’epoca delle prime primarie (scusate, mi è sfuggito il dito..) io mi rifiutai di partecipare e mi venne affibbiato ogni orribile aggettivo… All’epoca mi sarebbe piaciuto riuscire a spiegarmi come hai fatto tu. Grazie.

  2. Siamo in linea con le varie formule e formulette volte a legittimare, più o meno surrettiziamente, lo “status quo” (in nome delle ragioni-della-forza).
    A cominciare da “morte delle ideologie”, con la quale s’intese, decenni or sono, ridicolizzare di fatto ogni opzione politica che si sostinasse a dichiarare, seppur problematicamente, l’imprescindibilità della dimensione etico-valoriale.
    Tant’è. Credo sia stato Hugo von Hofmannsthal a scrivere che “la filosofia è giudice di un’epoca: brutto segno, se ne diviene l’espressione”…Vale anche per il pensiero (chiamiamolo così!) politico.

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