Cesare Stradaioli sull’euro

Si può dire che non passi settimana senza che Paul Krugman spari la sua consueta bordata a palle incatenate e ad alzo zero contro la moneta unica e i suoi ideatori e promotori. Ormai l’euro pare essere scaricato da quasi tutti: sulla stampa, in parte anche quella specializzata, viene trattato come un parente importuno del quale, però, liberarsi è impossibile e tocca sopportarlo quando occupa il bagno, detiene il telecomando dell’unica tv di casa o quando, più frequentemente, affligge la famiglia con le sua innumerevoli magagne. E’ partito il ballo mascherato delle celebrità, nel corso del quale lo scaricabarile vedrà il palleggiarsi le responsabilità – vere e presunte – dei danni provocati da questa valuta realmente non amata da nessuno.

Krugman, come sanno anche i sassi, è stato insignito del Premio Nobel per l’Economia – che ogni anno viene invariabilmente dato a un americano, più o meno con gli stessi criteri con i quali potrebbe essere assegnato il Nobel al miglior gondoliere, il quale può essere di qualsiasi nazionalità purché si chiami Sambo, Vianello o Scarpa e sia veneziano di Cannaregio da quattro generazioni. E’ molto simpatico, affabile, inesorabilmente piacione (fino qualche anno fa, assomigliava a George Clooney, il che non guasta MAI); a dire il vero, i suoi articoli sono, come dire, spigliati, anche un po’ troppo, molto easy, scorrevoli, starei per dire atletici, il che pare che presti il fianco a più di una critica in punto di precisione, serietà nei giudizi e attendibilità nelle cose di cui scrive e che afferma in maniera alquanto diretta.

Per sovrappiù, ma è una cosa che chi scrive condivide con una conventicola di fanatici scelti, è per l’appunto americano e va detto che ogni qual volta un politico o un economista USA prende la parola, specie quando si esprime a favore di questo o quel popolo, la mano corre verso la Colt (tipico dei fanatici il rifarsi a cose, gesti o abitudini di chi si detesta). Per principio e per riflesso condizionato.

Detto tutto ciò e fatta alla pubblicistica del Nostro la dovuta tara, operazione che, però, andrebbe demandata a chi ne capisca veramente a fondo di economia e finanza, bisogna dire che a confutazione delle sue affermazioni vieppiù critiche sulla moneta unica europea e sui rappresentanti politici del vecchio continente, non si alza una sola voce che non sia la boiata del giorno quale – per dirne una – “il ritorno alla lira anzitutto comporterebbe per noi importatori di energia il triplicarsi del prezzo della benzina, dato che dovremmo comprare con una moneta debole le materie prime.” (per piacere nessuno dica che la benzina NON è una materia prima, era una sorpresa che avevo pensato di tenere per la fine dell’articolo…).

Battute a parte, quella delle materie prime è, se non altro, un’idea, un abbozzo di argomento, che giustamente nasce morto ma che se non altro è un tentativo: a parte questa e poche altre stupidate, si tratta di risposte standard che, per solito, nel corso della Storia vengono riservate a chi metta in discussione un dogma. Che si trattasse della concezione tolemaica del cosmo, della verginità della Madonna o, in tempi purtroppo ancora contemporanei, del fatto che gli zingari rapiscono i bambini, la risposta di fondo è il rifiuto più assoluto e totale a solamente mettere in discussione il dogma stesso. Quando non vi si accompagna l’accusa di essere contro l’Europa – che è lo stigma della moderna apostasia.

Detta in breve: l’impressione è quella di un ceto politico che sta lasciando andare la barca. Non volendo o, più verosimilmente, non essendo in grado di portarla, di distinguere la poppa dalla prua e di leggere una carta nautica. L’impressione è anche quella di una lentissima morte (Alberto Bagnai è, verso l’euro, fra i più misericordiosi, assegnandogli un’aspettativa di vita che potrebbe forse arrivare non oltre il 2022, cioè praticamente dopodomani).

L’impressione è infine quella di una specie di rassegnazione, fra una sciarada e una pagliacciata al vertice come quella invereconda ammuina sulla Grecia, che sembrano messe in scena fatte per sfamare i media, spaventare il cittadino europeo – ma non troppo, che quelli del sud tendono a incazzarsi – e nascondere ben altri disegni che sembrano di stampo economico e finanziario ma che, in realtà, come diceva il barbuto che sta sepolto a Highgate, niente altro che politica sono, giocata con altri, più infami mezzi.

Come la nave di Giorgio Gaber, l’euro non sa dove va ma continua ad andare, parrebbe verso una morte che viene accompagnata da rassegnazione e a questo punto bisogna pensare che gli scarsi commenti in sua difesa siano frutto di questa rassegnazione.

Finirà che non sarà rimpianto da nessuno: ma la cosa non induce a considerazioni piacevoli perché se anche questa parabola finirà come dicono appunto Krugman, Stiglitz o Bagnai, essa porterà a uno spaventoso trauma sociale, le cui conseguenze andranno, come stanno già andando adesso, tutte sul conto di lavoratori, pensionati, giovani, donne: i soliti, insomma, che si troveranno a provare a ricostruire e recuperare un welfare, un sistema di diritti e di tutele del lavoro, una scuola degna di questo nome. Un massacro.

Qualcuno prima o poi dovrà essere chiamato a rispondere della tragedia della moneta unica, del fallimento del concetto di Europa, delle bugie e delle mistificazioni mascherate da follia (il disegno è preciso; non va ascoltato chi parla di errori: questa gente non sbaglia mai) che tengono in vita un organismo che di vivere non merita – non meritava neanche di nascere, se è per questo. E la sinistra europea non si sogni di chiamarsi fuori, perché se è vero che in milioni, all’indomani del risultato del referendum greco, abbiamo visto quanto avesse ragione il Presidente Mao a dire che l’imperialismo (la finanza, in quel caso) è una tigre di carta, coloro che sarebbero chiamati a intrappolarla per impedirle di causare morti e invalidi si vestono come Stanlio e Ollio e portano armi della stessa materia di cui la tigre stessa è fatta.