A VOLTE RITORNANO (in occasione della riapertura della rivista “MicroMega”)

Parafrasando quanto disse Fortini a Firenze nel 1967 a proposito della guerra in Viet-nam, il concetto di Sinistra ci divise, ci divide e ci dividerà. Prima ce ne faremo una ragione e più sollecitamente saremo in grado di opporci a un nuovo, inaccettabile ordine mondiale il quale vive e lotta contro di noi pur nelle sue profonde divisioni, proprio in quanto, è il caso di dirlo (le) sa governare  molto meglio di noi e di chi ci ha preceduto. 
Fin qui, ritengo, niente di che: ‘vivere’ le divisioni, nella teoria e – sia benedetta l’ora! – anche nella pratica politica, mi pare il minimo sindacale, quanto meno nel mondo degli adulti. Se non che, questa volta senza parafrasi ma in citazione diretta, rimane difficile sfuggire alla questione “Dimmi con chi vai e ti dirò se vengo anch’io”, posta dal grande pensatore contemporaneo Roberto ‘Freak’ Antoni. A proposito di divisioni, scendendo sul personale, in occasione del ritorno di “MicroMega”, penso di saperne qualcosa: non solo dal punto di vista squisitamente politico, ma anche in quello che riguarda il mondo del lavoro. Da avvocato penalista quale sono da trentacinque anni (passati politicamente a scontrarmi con la categoria e a condividere molte ragioni dei giudici), mi sono trovato di frequente a sbuffare, leggendo gli interventi di Travaglio, di Scarpinato, di Caselli o dello stesso Flores d’Arcais, quando non era il singolo fascicolo a volare dall’altra parte della stanza, in luogo dello sbuffo di insofferenza. L’articolo 41bis – rimango convinto che, addetti ai lavori a parte, quasi tutti coloro che si esprimono a suo favore non abbiano la minima idea di cosa significhi nel concreto della vita carceraria – l’ergastolo cosiddetto ‘ostativo’, la stessa legge sui cosiddetti ‘pentiti’ (quante cose cosiddette, nel nostro Paese…), l’enorme potere delle Procure, il ruolo dell’avvocato difensore non di rado sbeffeggiato, deriso e svalutato (ci abbiamo messo del nostro, va detto) e via discorrendo: si tratta di argomenti che per forza di cose sono divisivi e, sempre a titolo personale, non mi può bastare la consapevolezza di essere stati spesso in buona compagnia (uno per tutti: Franco Cordero, il Maestro). 
E tuttavia, che si tratti di diritto, di libertà personale, di quello che in questi anni si presenta come un ritorno al passato in pura salsa al gusto Restaurazione nei confronti della Magistratura (che, pure, ha le sue belle rogne da grattarsi: e chi scrive è uno dei forse quattordici o quindici avvocati in tutta Italia a essere contrario alla separazione delle carriere), di giustizia, uguaglianza, socialità – opposizione: verrebbe da dire, in una sola parola – rimane il fatto di prendere sul serio coscienza dell’essere di fronte a una vera e propria emergenza: e mai come adesso sembra opportuno e realmente significativo spendere quel sostantivo di cui è stato fatto più spesso abuso che uso consapevole. 
Un’emergenza sociale; definizione che, di per sé, può anche non significare nulla, se non viene arricchita di significati. D’altronde, ben altre firme hanno definito la Libertà ‘un sacco vuoto’: che va riempito poiché un sacco vuoto è un oggetto inutile, al limite dell’inesistenza. E dunque, mettere tutto dentro il sacco chiamato emergenza sociale; proviamo a fare una lista? Così come viene? Lavoro, scuola, ricerca, educazione civica, giustizia, rappresentanza politica, sanità pubblica, frantumazione regionale (frammentazione andava bene prima del ‘tana libera tutti’ declamato a più voci, e non tutte leghiste o di destra, in occasione della pandemia), federalismo stracciaculo, concentrazione editoriale parente stretta del monopolio, moneta unica e cessione di sovranità, recupero e finalmente attuazione dei più importanti capisaldi della nostra Costituzione, solidarietà, internazionalismo (evviva!), ambiente, ecologia, corruzione (leggasi: corrotti e corruttori; pare surreale dover ricordare, di tanto in tanto, che se la mazzetta qualcuno la prende, per forza c’è qualcuno che la porge). 
Ce n’è a sufficienza per dividerci fino al prossimo secolo; però, se ci guardiamo indietro – ogni tanto serve – possiamo trarre degli insegnamenti dagli errori del passato. Il che non significa puntare a un unanimismo di facciata, pronto a deflagrare al minimo stormir di fronde: l’abbiamo già visto, questo film, non ci piaceva ma l’abbiamo rivisto più volte, nei vari sequel. D’altra parte, a costo di essere pretenzioso, non mi accontenterei di opporre resistenza, bensì vorrei che le nostre argomentazioni fossero anche e soprattutto propositive e lo dico – lo ammetto – mettendoci anche un po’ di sentimento: ho raggiunto l’età che ancora in gran parte non avevano le firme di MicroMega al tempo in cui vivevo un’alternanza fra pieno consenso con i contenuti della rivista e il lancio del fascicolo di cui sopra; mi punge una certa urgenza almeno di intravvedere qualcosa di concreto, di propositivo (e di Sinistra), quanto più possibile depurato dalla faziosità che ancora imbeve il nostro Paese, dall’ultimo degli odiatori da tastiera fino al primo dei più onesti intellettuali. Con tutti i dovuti distinguo, sia chiaro; ma insomma uno che ha letto un certo numero di libri e ha la capacità e l’opportunità di confrontarsi con gli altri ha poco spazio per le scusanti, poiché come diceva Bunuel, c’è un limite anche alla prostituzione. 
Benvenuta, bentornata MicroMega, anche e soprattutto nelle diversità di opinioni. E che nessuno si stupisca più che il giovin padrone volesse liberarsene. Quelli come lui non sono ciechi e raramente commettono errori: fare a meno di una voce come quella letteralmente impersonata da Flores d’Arcais è un errore secondo i NOSTRI canoni di giudizio, che qualcuno ancora si sforza a volere presente anche nell’avversario e ci rimane male quando fa cose che noi non faremmo mai. 
Costoro, gli avversari – le parole ci sono: che siano usate! – ci vedono benissimo. Facciamo qualcosa di nuovo: mettiamo insieme quello che ci unisce, approfittando di questa occasione e proviamo a vedere più lontano di loro. Abbiamo dalla nostra motivazioni maggiormente nobili e non mi pare davvero poco.

Cesare Stradaioli