Primi commenti sulla riforma del Parlamento

Il tempo ci dirà quanta e quale vita avrà la riforma del Senato che il governo Renzi ha voluto con tutte le forze. La previsione che pare essere più verosimile è che non passerà del tutto indenne al vaglio della Corte Costituzionale che, prima o poi, sarà investita dal ricorso di qualche magistrato.

Certamente, questa riforma appare fortemente censurabile sotto due profili: quello del metodo e quello del contenuto.

Quanto al primo, non è il caso di spendere più che qualche parola; si tratta, a tutti gli effetti, di una riforma di portata epocale, comportando niente di meno che la fine del cosiddetto ‘bicameralismo perfetto’. In questo senso, dovrebbe essere quanto meno lo scopo principale di chi l’ha voluta, il suo significato si riverbererà nei prossimi decenni, fermo restando l’intervento (più che probabile, come detto) della Corte delle Leggi.

Ebbene, riforme di questa portata, vanno fatte in maniera più condivisa possibile: ovviamente senza pensare all’unanimità, ma certamente con la massima convergenza politica. Oppure, non si fanno. Modificare la Costituzione in un punto così nevralgico non si può fare con pochi, risicati voticini, raccolti qui e là (e in questa sede soprassediamo all’indecorosa compravendita di voti alla quale abbiamo assistito: ci torneremo). Sarebbe l’ABC del diritto pubblico e costituzionale, ma negli ultimi venti anni ci siamo purtroppo abituati a colpi sotto la cintura, con l’arbitro di turno che guarda altrove.

Sotto il secondo profilo, la censura va su quello che par sottendere a questa modifica costituzionale: l’inaccettabile ruolo di supremazia assoluta che avrà l’esecutivo, in totale contrasto con lo spirito della nostra Repubblica, che per il momento è ancora parlamentare. Di più ancora, appare intollerabile quello che si profila in maniera sottile e implicita – ma non per questo meno preoccupante – e cioè il costituirsi di quello che viene chiamato ‘partito della nazione’, un’entità rappresentativa che, nel suo espandersi grazie alla progressiva indistinzione delle istanze di cui è portatrice, appare pensata per coprire un’area politica estesa, di fatto comprensiva perfino di quella che oggi sarebbe o dovrebbe essere di opposizione.

Rischiamo di trovarci a che fare con un’entità rappresentativa (riesce difficile definirla ‘politica’ nel termine più nobile della parola) che, in maniera formalmente democratica, nella sostanza imporrà un dominio pressoché inattaccabile da parte di forze, poteri e istanze tutti compattati attorno a un programma che non potrà mai essere posto in discussione, né trovare una seria e capace opposizione.

Questa, appare essere in definitiva, l’idea di dominio che Matteo Renzi porta avanti da tempo, senza neanche preoccuparsi più di tanto di dissimularlo. Su questo campo Renzi va affrontato, combattuto senza quartiere e sconfitto.

Cesare Stradaioli