LEI NON SA CHI SIAMO NOI

Non posso essere d’accordo con Alessandro Sallusti, quando con aria perfino compassionevole invita a prendere atto del fatto che l’Italia “è un Paese di destra”.
L’uomo ha grandi capacità giornalistiche e un notevole talento di analisi dei fatti, quando non viene colto da improvvisi raptus – comuni a molti della sua area politica – che darebbero l’idea di cicatrici incistate nell’anima di chi abbia, più o meno fino al 1994, vissuto gran parte della propria vita sotto il tallone di una non meglio precisata Repubblica Socialista Sovietica Italiana e, in effetti, ha ben donde a compiacersi del ripetuto successo elettorale riportato dal partito guidato da Giorgia Meloni e, più in generale dalla coalizione di centro-destra.
Nella sua analisi, Sallusti trascura un dato di fatto difficilmente contestabile: l’altissima, inaccettabile in un Paese impostato sulla democrazia rappresentativa, percentuale di cittadini che non sono andati a votare. Fenomeno non nuovo in Italia e tuttavia soggetto a fondamentali cambi di caratterizzazione nel corso degli ultimi decenni; a fronte di una grande partecipazione al voto, rimaneva una componente precisamente identificabile in quella che veniva chiamata  maggioranza silenziosa. Non dava voce al proprio malcontento sia limitandosi a votare senza praticare alcuna partecipazione diretta alla vita sociale, sia boicottando le urne. In quel senso, i migliori studi sociopolitici sostenevano come quasi tutti gli elettori potenzialmente orientati a sinistra effettivamente votassero, mentre l’astensione era per l’appunto attribuibile a un elettorato moderato.
Da ormai numerose tornate elettorali si pone in rilievo un dato del tutto opposto: parrebbe che, a parte un possibile incremento di un paio di punti percentuali, di fatto la destra abbia, per così dire, fatto il pieno di voti; in altre e più sbrigative parole, oggi in Italia chi pensa a destra va a formalizzare col voto il proprio pensiero, mentre l’astensione, parrebbe essere appannaggio di chi per protesta, per delusione, per disillusione voterebbe a sinistra se solo si sentisse rappresentato in maniera appena significativa. Col che si dovrebbe pensare che, una volta (ri)costruita una formazione politica di chiara impronta progressista, ecco che il premio elettorale arriverebbe e sposterebbe in maniera significativa gli equilibri di potere. “Catastrofe? Non sono così ottimista”, disse Roberto Vacca nel corso di un’intervista rilasciata dopo l’uscita del suo testo più importante e noto “Il Medioevo prossimo venturo”: possiamo sostituire il sostantivo con la valutazione di cui un paio di righe sopra.
L’Italia verosimilmente non è di destra, così come non è fascista; non è antifascista e nel suo non essere di destra, però non è neppure progressista. In Sicilia si usa il termine terzo, a indicare chi non sia né mafioso né minimamente offeso dalla presenza della mafia: il cittadino medio italiano è, per l’appunto, terzo; non ha il coraggio di essere fascista (e ormai il tempo sta terminando il proprio lavoro teso all’estinzione di chi visse il Fascismo, la guerra e la Resistenza, sicché neppure di nostalgie si può parlare, non potendo provare la mancanza di qualcosa che non si è vissuto in prima persona), né ha l’afflato umano e culturale per essere genuinamente progressista, nel significato più pieno e proprio del termine, cioè chiunque pensi costantemente al cambiamento in luogo di conservare ostinatamente uno status quo, più spesso iniquo, divisivo e antiegualitario. Non ama il cambiamento ma è profondamente infastidito quando gli si proibisce qualcosa in nome di una tal tradizione; tutt’altro che stupido (quanto sbagliano le loro valutazioni in proposito, molti commentatori esteri), sa benissimo che Berlusconi era quello che era e che il messaggio – chiarissimo, in chi voleva vederlo – era; fno a quando ci sono io, voi siete al sicuro e pertanto ho bisogno del vostro voto. Con me sarà possibile gettare le cartacce per terra, saltare la fila, perfino sarà consentito prendersela con la belva da affamare, quale era lo Stato secondo Ronald Reagan e i Chicago Boys, con la stessa faccia di merda con la quale si pretende la scuola dell’obbligo (così c’è qualcuno che si occupa di mio figlio), la cassa integrazione, i ricoveri senza che nessuno chieda prima la capienza della carta di credito e che l’immondizia venga regolarmente portata via.
Magra consolazione, a ben vedere, quella di contraddire un personaggio come Sallusti che, ben più importante di un giornalista qualsiasi, come molti italiani che votano a destra si guardano bene dal rinunciare all’assistenzialismo statale e a quel minimo di welfare del quale anche il presidente di regione più liberista non può fare a meno se tiene alla percentuale di votanti (attenzione: non di voti, che è cosa tutt’affatto diversa) che gli consente di mantenere il titolo che riveste. Essere ottimisti è materia molto amara.

Cesare Stradaioli