IL LIBRO DEL MESE DI NOVEMBRE – Consigliato dagli Amici di Filippo

Luciano Gallino ci ha lasciati lo scorso anno con un lucido e ficcante saggio intorno a problematiche riguardanti l’Unione Europea, il neoliberismo, la precipitosa ritirata della Sinistra dal tavolo politico e, ultima ma non ultima – come recitano titolo e sottotitolo – l’uscita dalla moneta unica. Si tratta di un’analisi, talvolta assume l’aspetto di vero e proprio attacco senza quartiere a persone e ideologie, che esamina nel suo complesso la situazione sociale in Europa. Più che un saggio omogeneo, il testo si presenta come una raccolta di saggi con, al termine, un’ipotesi – scritta in modo tutt’affatto diverso – che concerne la moneta unica: l’Autore è mancato un mese dopo la nota finale e questo può spiegare il titolo e la scelta editoriale dell’opera, apparentemente poco congrui rispetto al contenuto. Sottigliezze, che non meritano ulteriori considerazioni.

Senza mezzi termini, Gallino attribuisce al trionfante neoliberismo la crisi del 2007 che tutt’ora riverbera i propri effetti praticamente a livello globale, senza che se ne veda una sia pur pallida via d’uscita. Quella che definisce ‘straordinaria potenza predatoria’, che non tollera leggi né vincoli, nell’arco di un trentennio ha provocato un balzo all’indietro culturale, politico ed economico senza precedenti, con la democrazia svuotata, il lavoro svilito e i diritti compressi. Il tutto inizia, da punto di vista concettuale con l’aver fatto passare, fra le altre, l’idea che la crisi da debito privato delle banche sia in realtà la crisi da debito pubblico degli Stati, il che non solo ha avvalorato la ancora solidissima e dura a morire tesi secondo la quale vi è un eccesso di spesa sociale, ma in questo modo ha mascherato le vere radici della crisi, che si situano all’interno del mondo finanziario, opaco e non tracciabile.

Nel frattempo, il sistema industriale – che comunque andrebbe rivisto e ripensato – si sfalda e perde di consistenza e questo con la complicità di sindacati indeboliti e di partiti di Sinistra resisi da sé subalterni alla Destra e alle sue più viete e retrograde istanze e ai suoi slogan più miseri e, proprio per questo, più vincenti: quante volte abbiamo sentito invocare gli investitori stranieri, i capitali stranieri che stanno alla larga dal nostro Paese e davanti ai quali, per contro, dovrebbero essere stesi morbidi e accoglienti tappeti? Ebbene, sono arrivati, gli investitori stranieri: hanno comprato, hanno approfittato delle legislazioni scandalosamente a loro favore e contro le istanze salariali e sindacali, hanno delocalizzato e hanno chiuso, con tanti saluti e ringraziamenti ai governi italiani. Tutte le conquiste ottenute dopo la seconda guerra mondiale, in termini di sistema sanitario e pensionistico, di sicurezza sul lavoro, del miglioramento delle generali condizioni dei lavoratori – in due parole, democrazia sostanziale – hanno subito un brusco arretramento, proprio in nome dei principi del neoliberismo. Il quale, in aggiunta a ciò, è dotato di una formidabile capacità comunicativa di mascherare i fallimenti e le previsioni del tutto sbagliate, sviando sistematicamente l’attenzione proprio delle fasce più deboli della popolazione verso altri argomenti: in questo, bisogna dirlo, enormemente facilitato dalla generosa cooperazione dei partiti ispiratisi ai principi del New Labor di Blair e Schroeder, i cui effetti devastanti peseranno per decenni sulle società e sulla Sinistra europea – se sopravviverà.

In tutto questo, si chiede l’Autore, L’Europa che cos’è? Cosa è diventata? E’ ancora una democrazia? O non si presenta, a parole e nei fatti, come un regime dispotico, capace di violare diritti umani ma anche gli stessi trattati ai quali fa ricorso quando fa comodo? L’Unione Europea ha delle colpe gravissime, delle quali prima o poi qualcuno dovrà essere chiamato a rispondere, nella crisi greca e nel disastro umano che ha provocato una politica criminale verso non tanto il governo attuale (o quelli precedenti: loro sì, caso mai, veri responsabili) quanto piuttosto verso il popolo greco nel suo complesso. Le stesse colpe ha la memoria corta della Germania e di tutti coloro i quali dimenticano che, probabilmente essa è lo Stato più insolvente del XX° secolo.

Quanto a noi, gli ultimi governi, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi, secondo Gallino passeranno alla Storia per avere dimostrato una assoluta incapacità di governare – o, forse, una manifesta volontà di non farlo – una situazione che è degenerata sotto tutti i punti di vista. Dal 2007 sono diventati sei milioni e più gli italiani che vivono in condizione di povertà – numerosi enti assistenziali laici e religiosi denunciano una situazione tremenda, nella quale ricevono richieste di aiuto non da solo cittadini extracomunitari ma anche da molti nostri connazionali – cresce sistematicamente il tasso di disoccupazione (e l’Autore si domanda, alla luce di percentuali in costante aumento, con che faccia il Ministro del Lavoro parli di situazione economica in miglioramento), fasce sempre più ampie di cittadini hanno perso tutela e rappresentanza: e tutto questo prepara un futuro per le generazioni a venire da far tremare le vene e i polsi.

La tanto conclamata stabilità politica – che sia realizzata è tutto da discutere – porta il carissimo prezzo di una instabilità personale di decine di milioni di persone, chi si vede negato il presente e chi si vede negato il futuro (molti pensionati si sono già visti negare il passato, con il taglio delle pensioni): senza reddito, senza lavoro, senza prospettive, questa è la condizione del nostro Paese. E non sono i soldi che mancano; per rifarsi al vecchio detto, che quando Tizio mangia un pollo mentre Caio rimane a bocca asciutta, comunque la statistica ci dice che c’è mezzo pollo a testa, ebbene non è vero che non ci sono i polli, anzi magari nel tempo sono anche aumentati: solo che sono quasi tutti nelle mani di pochi Tizio, mentre la stragrande maggioranza dei Caio non ne dispone e, anzi, di quei pochi che ha gliene viene chiesto contributo. Ma la parola ‘patrimoniale’ o il termine ‘lotta all’evasione fiscale’ non paiono essere all’ordine del giorno nelle agende delle cancellerie europee – e ci sarà un motivo, ci permettiamo di dire.

Il futuro è poco chiaro: ma se il passato ci aiuta, se vogliamo una volta tanto imparare dalla Storia, prima che la ripetizione della tragedia diventi farsa, come diceva quel signore nato a Treviri, allora pensiamo che la crisi del ’29, gestita come fu gestita (unitamente alla scellerata umiliazione post bellica della Germania), ha creato il nazismo, figlio legittimo dei populismi, che in Europa stanno rifiorendo.

Luciano Gallino non era quello che si definisce un ‘euroscettico’: era, per contro, convinto che l’Unione Europea fosse una grande invenzione politica. Ma, con altrettanta forza argomentativa, sosteneva come l’euro (da più parti, non solo contrarie alla moneta unica, definito ‘il marco sotto mentite spoglie’) si fosse trasformato nello strumento della vittoria del neoliberismo contro qualsiasi altra corrente di pensiero. La stessa, per inciso, che ha inculcato nella società l’idea che a questo mondo esista solo l’economia di mercato.

La sua ‘modesta’ proposta per uscire dall’euro ma non dalla Comunità Europea, è tutta contenuta nel capitolo finale, che non ha bisogno di presentazione, ma va solo letto, riletto e rimeditato, perché non di soldi, non di denaro si tratta, ma di democrazia, di futuro, di solidarietà, di rispetto per la vita umana e per il lavoro, soprattutto per il lavoro, questione che maggiormente stava a cuore a Gallino. Il quale, da studioso serio quale era, nota – ed è una delle pochissime menti ad averlo fatto – come nella copiosa letteratura favorevole all’uscita dell’Italia dall’euro, manchi una sostanziale analisi dei numerosi e per nulla semplici problemi di natura giuridica che ciò comporterebbe.

E, a questo proposito, dato che il sito in cui compare questa recensione è dedicato a un uomo che, da sindacalista che si rispetti, ha speso la propria vita nella difesa e tutela del lavoro, ci permettiamo di chiudere con un’ampia citazione da questo prezioso testo comparso postumo: osiamo pensare che Luciano Gallino non se ne avrebbe a male [il neretto è mio].

“L’obbiettivo primario deve essere quello di creare posti ad alta densità di lavoro.

Ci sono gli acquedotti che dalla sorgente al rubinetto perdono metà dell’acqua. Ci sono i beni culturali che vanno a pezzi. Ci sono milioni di abitazioni ancora costruite con sistemi che fanno consumare energia in misura cinque-dieci volte superiore al necessario per assicurare lo stesso livello di comfort e ci sono le scuole da mettere a norma per evitare che caschino sulla testa degli studenti. Ci sono migliaia di chilometri di torrenti e fiumi, decine di migliaia di chilometri quadrati di boschi e terreni da sistemare, affinché ogni volta che piove non ci scappi ilo morto e siano distrutte case e officine. C’è la metà almeno degli ospedali da ristrutturare, perché oggi terapie e degenze richiedono spazi organizzati in modo diverso rispetto a quando furono costruiti mezzo secolo fa e forse c’è la metà degli edifici esistenti in Italia oggi che dovrebbe venire protetta dal rischio sismico.

Tutto ciò significa milioni di posti ad alta densità di lavoro, con qualifiche professionali che vanno dal manovale al perito all’ingegnere, che aspettano di venire create a vantaggio dell’intero Paese. Ci si potrebbero impegnare migliaia di piccole imprese, di cooperative, di artigiani, in parte forse coordinate da imprese pubbliche e private più grandi.

E’ necessario un piano. Un piano che miri a collegare la creazione rapida di occupazione alla necessità di effettuare una transizione regolata di masse di lavoratori verso settori produttivi diversi da quelli tradizionali, dove essi saranno sempre di meno: e, perché no, a un’idea un po’ più ‘alta’ del Paese in cui si vorrebbe vivere.” (pagg. 140 e 141)

Cesare Stradaioli

Luciano Gallino – come (e perché) USCIRE DALL’EURO ma non dall’Unione Europea – Editori Laterza – pagg. 196, €15