SE IL 16% VI SEMBRA POCO…

A un certo punto lo scambio di opinioni deve fermarsi di fronte a un dato di fatto: se le rilevazioni operate su base nazionale corrispondono al vero, diversi milioni di nostri connazionali non sono vaccinati, o per rifiuto supportato da ragioni che qui non è il caso di sindacare, ovvero in forza di timori per la propria salute. In altre e poche parole: non solo non tutelano la loro salute, ma mettono a repentaglio quella della comunità cui appartengono. Otto milioni di persone non sono tante, non sono poche: sono quello che sono e già il fatto di essere qualcosa in più di qualche migliaio dovrebbe costituire motivo di riflessione.
Non si tratta solo della salute pubblica: pressoché ogni manifestazione di pensiero contraria al vaccino e alle misure di prevenzione e profilassi, per come viene esposta e rappresentata, ha il significato di un sommovimento sociale che rischia di compromettere la stessa unità nazionale. Paese fragile, il nostro: dotato di formidabile unità familistica – con tutti i suoi pro (non tanti) e contro (tantissimi) – tanto quanto è disossato in larghe parti della sua struttura, non solo amministrativa bensì anche sociale, intesa coma sommatoria di individualità. Corpose e compiute analisi sono già state fatte, non v’è nulla di nuovo, comunque si esamini la situazione: scansate le corbellerie quali identità nazionale e pallidi epigoni di reflui schiumosi di razza italiana, rimane il dato di fatto che ci pone quotidianamente sotto gli occhi un Paese ancora troppo poco recente – non giovane: attenzione – per potersi dire al riparo da sconquassi che, d’altra parte, non sembrano lontanissimi neppure in contrade abituate da secoli a vestire i panni del reame, impero, repubblica, pronti a seconda dei casi a partire per le colonie o a sventolare il vessillo nazionale in patria, quale sottofondo per gli arsenali navali e militari.
L’Italia è un Paese a serio rischio di disfacimento sociale e per quanto siano calcolabili in poche migliaia coloro che sfilano rumorosamente per le strade cittadine a vantare un diritto a decidere per loro stessi, ciò non di meno essi sono la punta di un iceberg che di teste, per l’appunto, ne conta milioni e il fatto che al loro interno (posto che ce ne sia uno solo) siano frammentati, disuniti, eterogenei, non ne sminuisce la portata come onda prettamente politica. Altro non può essere definito il loro agire solo apparentemente apolitico o antipolitico: e come politico, il loro peso deve essere valutato.
E, tuttavia, per quanto siano a volte odiosi i loro modi di fare, per quanto avvilenti siano i loro ragionamenti, per quanto essi possano rappresentare una minaccia per la salute pubblica e per ciascuno di loro stessi (il che è la medesima cosa), ebbene costoro non sono, non possono, non debbono essere considerati nemici da battere, avversari da umiliare. Non ce lo possiamo permettere, proprio in ragione dell’estrema fragilità del nostro impianto sociale. E per forza di cose, non fosse altro per mera onestà intellettuale, deve essere usata nei loro confronti una certa dose di indulgenza; l’imbecille che sfila contro i vaccini vestendo una camicia a righe con la stella di Davide probabilmente nella maggior parte dei casi ignora che il tizio che gli sfila accanto e che con lui vorrebbe essere comunità di resistenza ad asseriti soprusi, oltre a essere quello che gli fa intonare canti che portano ritornelli direttamente presi da ‘All’arme siam fascisti’, è anche uno di coloro i quali negano che ci siano stati disgraziati che le abbiano indossate, quelle camicie, unitamente ai tatuaggi identificativi sugli avambracci.
In tutti i modi possibili, leciti e plausibili, questa cospicua parte di nostri connazionali deve essere recuperata al dialogo, al confronto, anche a costo di fare concessioni; questa non è una finale di coppa del mondo, non è una battaglia fra nemici: la partita che dobbiamo metterci in testa di dover giocare deve finire in parità, dal momento che non è questo né il luogo né il tempo per vincitori e vinti. Sicuramente il virus sarà delimitato, ridotto ai minimi effetti; costerà altri morti, altri ammalati cronici, altra sofferenza e altre restrizioni, ma alla fine il gesto (se non l’intimo afflato) civico prevarrà. Ma se non riusciremo a mantenere quel poco di coesione sociale di cui abbiamo bisogno come l’aria ora, da sempre e per sempre, avremo vinto una guerra che ci troveremo a celebrare su un mucchio di rovine fumanti. E non saranno gli edifici a essere distrutti.

Cesare Stradaioli