IL LIBRO DEL MESE DI NOVEMBRE: Consigliato dagli Amici di Filippo

Il presupposto che porta a questo lavoro è tema talmente detto e ripetuto da finire, come spesso accade nell’epoca delle omologazioni globalizzate, non tanto nel dimenticatoio, quanto in quel particolare girone di un ipotetico inferno neodantesco in cui vengono conservate e intercluse determinate idee e intuizioni; l’esistenza di una uniformazione globale delle coscienze, con la prevalenza del pensiero unico, è dato acquisito: bene, lo si custodisca come certe opere, in modo così palese e, al tempo stesso, non sviluppabile di dibattito esterno, in modo tale da non essere, in definitiva, conosciute e da impedirgli di nuocere. Impedire di nuocere è concetto caro alle dittature. Era necessario, secondo Mussolini, che per vent’anni fosse impedito di nuocere ad Antonio Gramsci: e dato che l’omicidio, pratica pure diffusa in quegli anni, pareva al momento poco elegante e – ancora per poco – dissonante rispetto a un’idea che si voleva non ancora del tutto totalizzante del fascismo, la galera era la soluzione ideale. Non ti uccido, non ti elimino fisicamente: impedisco, togliendoti la libertà, che le tue idee circolino. Impedisco che nuocciano.

Quasi un secolo dopo, i modi necessariamente devono cambiare e dal momento che impedire la circolazione delle idee è diventata una specie di missione impossibile, tanto vale consentirne la ripetizione, di questi concetti, ad nauseam; compaiano pure, regolarmente, su un gran numero di testate, a firma di grandi nomi nazionalpopolari, perfino su quelle idealmente dirette a un determinato pubblico (verrebbe da menzionare i famosi ‘giornali femminili’ di cui cantava Luigi Tenco; e sarebbero, invero, da menzionare: non paiono cambiati più che niente, rispetto a quelli che leggeva mia madre, forse ci sono più donne nude): la ripetizione, se non esce dalla propria circolarità, se non si sviluppa in dibattito, diventa sterile.

Il pensare in maniera diversa, di cui scrive Fusaro, parte da un sentire, che è, non a caso, il titolo del primo capitolo. Da un sentire diverso, discende per forza di cose il dissenso che è da sempre il motore del cambiamento, di qualsiasi tipo si tratti, poiché niente viene regalato dal potere dominante, se non, di tanto in tanto, sotto forma di polpetta avvelenata (e mi riferisco, a titolo di esempio e senza mezzi termini, a tutta la fuffa degli anni ’70 portata avanti in primis dal Partito Radicale, sui diritti civili: argomento nobilissimo e tuttavia vero e proprio cavallo di troia atto a imbolsire e sedentarizzare il pensiero antagonista – miliardi di ore di pensiero per il divorzio e nel frattempo la produzione, come ammoniva Giorgio Gaber, cambiava e ci cambiava; qualcosa di sinistramente simile accade in questi anni con gli stucchevoli interventi sulla asserita autodeterminazione della propria sessualità, che pare largamente più etero, che auto). Il dissenso è contrasto, è opposizione in quanto lavoro – del lavoro come opposizione non a caso cantava Ivano Fossati in uno dei suoi lavori più duri e disincantati.

Fusaro scrive di (neo)conformismo, la cui novità è rappresentata da un fenomeno solo in apparenza nuovo: il dissenso verso il dissenso, cioè una manifestazione di aperta ostilità verso chi dissente, che proviene proprio da coloro che di quel dissenso dovrebbero armarsi. Si tratta, in realtà, di un comportamento umano vecchio quanto il mondo. Dividere per mantenere il potere è essenziale e se non posso combattere chi mi contesta, in prima persona più che tanto, il serbatoio dei disperati è sempre pieno e approfittare dell’indigenza materiale o morale di chi – più che comprensibilmente – sarebbe pronto all’allineamento contro i propri liberatori in cambio di una vita leggermente migliore o anche solo non peggiore, è pratica consolidata nei millenni.

Disobbedire è difficile; ribellarsi è difficile, perché sarà anche vero che la natura tende all’entropia, al caos, ma il dissenso lungi dal muoversi a favore del caos (lo si può tranquillamente lasciare al pensiero anarchico: gli spetta di diritto), si oppone al caos, come si oppone alla globalizzazione a senso unico, proprio in quanto organici a uno sviluppo tendenzialmente darwiniano della natura, la quale come è noto non è né buona né cattiva e proprio per questo non sceglie, semplicemente procede. La difficoltà e la fatica sono eversivi tanto quanto sono evitabili appena possibile dall’uomo come da qualunque altro animale. Per questo è agevole seguire la corrente e risulta ostico andarci contro: convincere se stessi della sua giustezza è già un primo, arduo passo; ma è solo l’inizio, perché poi si impone il dialogo con gli altri e al dialogo si presta solo chi pensi, anche solo in via ipotetica, di poter cambiare idea.

Passando da Schiller e Heidegger a Socrate e alla caverna platonica, attraverso Sartre, Charlie Chaplin, Tabucchi (il suo Pereira viene descritto come un vero e proprio eroe moderno del dissenso, proprio in quanto agisce, sia pure sottotraccia, muovendo dall’indifferenza e scardinandosene) e innumerevoli altri l’Autore, va detto anche in forme e modi aggressivi e non di rado al limite dell’irritante, propone una serie di riflessioni sul muoversi intellettualmente, sull’idea di liberarsi dalla paura di manifestare il proprio pensare altrimenti; al non dare nulla né per scontato né come dovuto, in quanto scontata è solo l’acquiescenza al potere, conseguente alla delega che viene sistematicamente data, a scadenze, che consente al singolo e allo stesso tempo, di liberarsi dalla responsabilità del giudicare e del decidere, delegando il tutto ad altri e, nel delegare, si ricava finalmente lo spazio per colmare lo stomaco di materia concreta e nociva e la testa di un vuoto asettico e confortevole. Una non-esistenza.

Essere, esistere in quanto dissentire come singoli e come collettività. Come dice uno dei due protagonisti nel wendersiano “Nel corso del tempo”: bisogna anelare a un cambiamento, perché non è possibile vivere senza un cambiamento o, almeno, volerselo augurare. Non fosse altro, e per di più, aggiunge l’Autore rifacendosi a tematiche classiche, in questo momento storico forse desuete (ma il futuro non è scritto, affermava il noto pensatore contemporaneo John G. Mellor, altrimenti noto come Joe Strummer), perché lo si deve anche a coloro i quali per quelli che neanche possono immaginarselo, prima che sentirlo e pensarlo.

 

Diego Fusaro – PENSARE ALTRIMENTI – Einaudi – pagg. 156, €12