IL LIBRO DEL MESE DI MAGGIO – Consigliato dagli Amici di Filippo

Detto subito: per chi scrive, Peter Handke è, da almeno venticinque anni, il personale candidato al Nobel per la Letteratura. Il volume suggerito, raramente un titolo è stato così appropriato, copre un arco di oltre cinquant’anni di scrittura da parte dell’Autore austriaco, suddiviso in due parti: la prima contiene una raccolta di scritti la cui datazione può essere solo intuita da nomi, argomenti, riferimenti storici o letterari -ma è sicuramente databile al di qua degli ultimi venti anni; la seconda torna indietro nel tempo e porta i giorni e le opere di Handke quasi ai suoi esordi, con una collezione di recensioni letterarie nella rubrica “L’angolo dei libri” per Radio Steiermark, dal 1964 al 1966.
Chi ami, o almeno conosca Peter Handke, troverà subito, fin dalle prime righe, i tratti più salienti della sua scrittura e del suo pensiero. Lievità e profondità allo stesso tempo, ossia, la capacità di trattare di fatti e persone, mai presi in sé ma costantemente inseriti in un discorso sociale sempre presente nelle sue opere, se pure l’uomo sia da sempre schivo, ritroso a mostrarsi e per questo dando l’idea – non corretta – di un intimista nel senso più retrivo del termine. La lievità di cui sopra può ben essere resa in una scrittura a volo d’uccello, in apparenza priva di una destinazione consapevole, nella realtà capace di indirizzare con precisione il pensiero non solo dell’Autore ma anche di chi se ne accosti.
Handke ha conservato nei decenni questa caratteristica di scrivere con apparente, diremmo così, noncuranza, come fossero riflessioni intime o discorsi di poco conto fatti in un vagone ferroviario o, al più, parlando da soli: per contro, oltre le singole parole, sistematicamente al termine dell’espressione di un concetto, di un gdiudizio, anche di una singola frase, si comprende subito lo spessore di quello che l’Autore intende – condivisibile o meno: a dispetto della figura che Peter Handke ama dare si sé, non senza un certo autocompiacimento, la sua penna è puntuta, diretta, priva di mediazioni quando vuole esserlo e lo è di frequente.
Presta particolare attenzione, da sempre, sia nella saggistica sia nella narrativa, all’osservazione delle coppie, più spesso composte da due singole solitudini, come la solitudine è una delle cifre – la più netta e costante, comunque – della sua prosa: che si tratti di uomini e donne in fuga reciproca oppure all’affannata ricerca dell’altro/a, oppure il minuzioso osservare le vocali e le consonanti dello scambio epistolare fra Stefan Zweig e Romain Rolland, celando in ciò la contrapposizione fra pensieri di pace e pensieri di guerra, scritti più di cento anni or sono e ancora tremendamente attuali, il singolo, solitario Handke scrive quasi sempre di dualismi, concreti o figurati. Da sempre riluttante a spendersi in pubblico, pare più a proprio agio nello scrivere delle altrui opere e prose, piuttosto che delle proprie e tuttavia lo scopriamo acuminato, severo nella forma della pacatezza – la Bibbia esorta a guardarsi dall’ira del mansueto – a difendere non tanto e non solo se stesso e le proprie opinioni (in punto dello scandalo suscitato dalle sue note prese di posizione sulla guerra in Jugoslavia che gli hanno inimicato parte dell’intellighenzia continentale) di cittadino del mondo sì, ma genuinamente mitteleuropeo, carattere rappresentato dal suo multilinguismo, quanto l’onestà intellettuale come punto di riferimento non negoziabile
Perfino più interessante è scoprire il giovane Peter Handke sollecito e quasi assertivo critico letterario, nella seconda parte del volume, quasi marchiata a fuoco dal formidabile incipit di un suo intervento: “Scrivere può essere un tentativo di conquistare il mondo“: se ne sono sentite e lette di giovanili dichiarazioni di intenti, ma questa si pone un gradino al di sopra di quasi tutte. Si scopre, fra le righe e le volute deviazioni, un Handke quasi irruento, che all’interno di critiche pacatamente sferzanti non fa sconti a nessuno, dall’alto dell’impudenza di un poco più che ventenne che, anche quando esprime un giudizio negativo – stroncature, le chiamaremmo oggi e non sono poche in questa rassegna – lo fa sempre manifestando curiosità, leggerezza e quasi dispiacere per il singolo autore di cui non dice bene per niente, dando così l’idea di giudicare non per separarsi (in meglio, in superiorità) da chi non si apprezza, quanto piuttosto per capire, condividere e cercare di interpretare, possibilmente conquistando il mondo di cui sopra e i lettori: che, da sempre, Peter Handke narratore e osservatore considera proprio complici.

Cesare Stradaioli

Peter Handke – I GIORNI E LE OPERE – Guanda – pagg. 262, €19