Garantista sarà lei!

 

Fino a non molti anni addietro, il termine ‘garantista’ veniva usato più spesso con una certa nota di dispregio nei confronti del destinatario. Intendeva definire una persona in qualche modo legata più alla forma che alla sostanza e caratterizzata da una grande fiducia in coloro che amministrano la giustizia, ponendo tale fiducia proprio nell’algido rispetto delle regole. Non è neanche a dire che un simile uso del termine fosse pretto patrimonio della Sinistra, o di una certa Sinistra. In certi ambienti e in determinati periodi storici, sentirsi dare del garantista era quasi più infamante o irridente che passare per socialdemocratico.

Il punto è che, ora come allora, definire garantista chi si occupi di diritto – magistrato, giudicante o inquirente, avvocato, giurista – è un po’ come definire amante della letteratura uno scrittore, o dare del musicofilo a un pianista classico: verrebbe da commentare “e ci mancherebbe anche…”. Insomma, un pratico del diritto, maggiormente proprio un pratico, per definizione non può non essere garantista: o è garantista oppure è un magistrato infedele o un avvocato indegno della toga.

Il problema di certa Sinistra, di quella Sinistra, è che un tema quale quello delle garanzie processuali, già di suo in buona parte lasciato come patrimonio alla Destra – negli anni ’70 e ’80 non pochi militanti e simpatizzanti della Sinistra antagonista e non solo si resero conto, sul proprio destino giudiziario, di quanto fosse preferibile essere perseguiti e giudicati da un magistrato conservatore piuttosto che da uno di Sinistra: Pietro Calogero e il 7 Aprile, tanto per non fare nomi – con l’avvento dell’era berlusconiana fu consegnato totalmente alla Destra peggiore e più becera (e financo eversiva) che ne fece carne di porco, spacciando per rispetto delle garanzie le peggiori e più sfrontate leggi a favore di determinate persone e categorie sociali.

Ora, chi scrive ebbe modo, oltre dieci anni fa, di esprimere severi giudizi nei confronti di giornalisti come Marco Travaglio, magistrati come Piercamillo Davigo o Giancarlo Caselli e, più in generale, della rivista “MicroMega”, in ragione delle loro posizioni fortemente – e quasi sempre a senso unico – critiche rispetto all’esercizio dell’attività difensiva e, maggiormente in maniera specifica, la professione dell’avvocato. Alcune cose cambiano, altre non e così pure le persone: Giancarlo Caselli è rimasto lo stesso, manifestando questa sua impostazione, per esempio, nel dare dei terroristi (spalleggiato in questo da un indegno ex Capo dello Stato che preferiamo neanche nominare) in toto e senza nessuna differenziazione, all’intera categoria di coloro, rappresentanti istituzionali e semplici cittadini, che da anni manifestano contro il TAV. Forcaioli una volta, forcaioli per sempre.

Altri, come Marco Travaglio, hanno aggiustato il tiro e, va detto con onestà, hanno contribuito non poco a convincere molti – compreso il sottoscritto – a cambiare idea su alcune tematiche: in questo aiutato da una situazione di corruttela che nel nostro Paese non solo non fa più notizia da oltre un decennio, ma addirittura viene trattata con un certo fastidio, al punto tale da indignare anche i più mansueti.

Poi, ci sono magistrati come Davigo. Il quale, come è stato correttamente detto, è uno che non ci mette venti minuti a dire buonasera. Ora, Davigo è un po’ un Antonio Ingroia di Destra: già dai tempi del pool “Mani Pulite” si distingueva dalla generalista definizione di ‘toga rossa’ che veniva appioppata con una certa ragione a qualcuno (Gherardo Colombo, Gerardo D’Ambrosio) e del tutto a vanvera ad altri (come Antonio Di Pietro). Davigo è come Ingroia, perché è una persona pericolosa: principalmente per un determinato ambiente politico e istituzionale, oltre che imprenditoriale. Ma non solo: lo è anche per una certa tendenza a travalicare certi limiti che la propria funzione impone.

Di Ingroia, assieme al lodevolissimo impegno nella lotta contro la mafia e, soprattutto a giudizio di chi scrive, in merito alla famigerata ‘trattativa Stato-mafia”, che ha interessato l’ex Presidente di cui sopra, deve necessariamente essere ricordato (con il suo Procuratore Capo, per l’appunto Giancarlo Caselli) anche il clamoroso fallimento del processo conto Andreotti: fallimento non tanto per l’esito giudiziario (di più non era possibile ottenere e poi, in fin dei conti e alla faccia degli analfabeti o dei collusi, il senatore a vita – qualcuno l’ha pure elevato a questa carica, accidenti! – è stato salvato dalla prescrizione, alla quale non ha rinunciato e avrebbe potuto e dovuto farlo, considerando la considerazione politica di cui godeva), quanto sotto il profilo culturale, per il modo in cui era stata impostata e pubblicizzata l’indagine.

Ma, a un certo punto della sua vita, Ingroia ha deciso di entrare in politica: così facendo, a buon diritto si è sentito libero, come deve sentirsi libero un giornalista come Travaglio, di dire e scrivere tutto quello che pensa, fermo restando lo speculare dovere di assumersene le conseguenti responsabilità. Travaglio pensa quello che pensa di politici e amministratori pubblici corrotti? Guai se si risparmiasse una sola parola, anche perché è uomo dotatissimo sotto il profilo della memoria e della disponibilità di atti; lo stesso valeva – finché tento, con sfortuna, la carriera politica – Ingroia.

Piercamillo Davigo non può. Non può dire una cosa che moltissimi di noi, le persone ragionevoli, oneste e responsabili, pensano e cioè che, rispetto a “Mani Pulite” i politici che rubano (non ha MAI detto che tutti i politici rubano) hanno perso la vergogna nel farlo: lo possiamo dire noi, che siamo semplici cittadini, operatori dell’informazione, eletti.

Lui no. Perché è un magistrato, per di più presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Lui, come tutti i magistrati in servizio, deve esprimersi solo attraverso le indagini, se inquirente, o i processi, se requirente. Per il semplice fatto che l’enorme potere (e la Magistratura è un Potere) di cui dispone, non deve lasciare trasparire nessuna opinione.

Garantismo è anche questo. E’ rispetto delle regole e rispetto dei ruoli e delle funzioni. I magistrati, in realtà, non dovrebbero neppure rilasciare interviste: certamente dovrebbe essere loro concesso di attivarsi e tutelare se stessi e la loro categoria affinché mascalzoni istituzionali che parlano di pallottole per i giudici o di magistrati golpisti o da sottoporre a perizie psichiatriche, ma anche e soprattutto TUTTI (e sottolineo TUTTI) coloro i quali parlano, giudicano, esprimono pareri su sentenze di cui non solo non conoscono le motivazioni, ma neppure le indagini e i dibattimenti che le hanno precedute, siano perseguiti a norma di legge o, quanto meno, debitamente stroncati e sputtanati in ragione delle stupidaggini o delle offese che profferiscono.

Condivido quasi tutto quello che ha detto Davigo e non c’è da stupirsi per la canizza che ha scatenato: non sono d’accordo che l’abbia espresso. Purtroppo, ogni tanto gli scappa qualcosa che non andrebbe detto e, fatalmente, quando si dicono cose interessanti e giuste, ma le si inframezza anche da una sola sciocchezza, finisce che quello che rimane è proprio la sciocchezza ed è un peccato, oltre che una cosa profondamente ingiusta.

C’è un modo, per evitare che il pensiero di un magistrato venga stravolto, confuso, decontestualizzato e strumentalizzato come meglio conviene dalla peggiore feccia politicante: non rilasciare interviste. C’est plus facile.

Cesare Stradaioli