ANCORA UNA E POI BASTA

La dichiarazione di voto a favore del SI’, nel referendum del 4 dicembre, ormai fortunatamente prossimo, fatta da Romano Prodi, ci dice qualcosa di molto interessante. Purtroppo. E non è in questione la libertà di opinione di Tizio o di Caio o di Romano Prodi o di suo fratello Paolo, il quale – cofondatore de “Il Mulino”, tanto per non fare nomi e per dare l’idea dello spessore culturale del personaggio – ha manifestato intenzione opposta: si tratta del cosa si intende quando si parla di norma di rango costituzionale e, più in generale, della Carta Costituzionale stessa.

E’ indicativo – non meno che amareggiante – notare come Prodi, nel dichiarare il proprio consenso alla riforma RBV, abbia aggiunto il sottotitolo, ormai consueto e ripetitivo, di moltissimi altri: La riforma è poco chiara. Altri, come Cacciari, dicono che ‘fa schifo‘, altri ancora ne parlano come qualcosa di modificabile. Il che, oltre a rappresentare uno dei particolari vizi italiani, cioè quello di fare qualcosa, ma fino a un certo punto, tanto poi accontentiamo tutti con qualche modifica, in questo modo non compiendo quasi mai qualcosa di decisivo e significativo, quale che sia il senso, la dice lunga sull’approccio culturale che molti politici hanno rispetto alla formazione delle leggi. E Romano Prodi, fra costoro, è uno dei più eminenti e rispettabili.

Tutti coloro che aggiungono, alla propria dichiarazione di SI’ considerazioni non certo positive sulla riforma, prima di essere tristi epigoni di Montanelli, quando invitava gli elettori anticomunisti a turarsi il naso e a votare DC (sia consentito un ricordo personale: il nonno di cui porto nome e cognome, fascistissimo e anticomunista della prima ora, si sarebbe fatto applicare elettrodi in posti sensibili, piuttosto che votare Democrazia Cristiana, ma lui era uno di quelli che nei Paesi ispanici chiamano hombre verticàl e in Italia ci sono molti orizzontali o, peggio ancora, curvi o chini), dimostrano di avere un’idea giuridicamente sbagliata delle leggi.

Ancora una volta e poi, basta, come dice il titolo. Una legge ordinaria è fisiologicamente fatta per essere cambiata: in quanto espressione della volontà popolare, mediata dall’attività parlamentare (legislativa) e di governo (esecutiva) di coloro che vengono eletti, può e per certi versi deve essere soggetta a modifiche, cambiamenti, aggiustamenti. Anche perché può, e per certi versi deve diventare, da disegno di legge quale nasce, legge vera e propria anche a dispetto della minoranza dei rappresentanti parlamentari. Perché chi governa, deve governare e chi ha la maggioranza deve esercitarla: si è messi lì per quello e non per altro.

Una legge di rango costituzionale, la Costituzione stessa, al contrario, è fatta – DEVE essere fatta – per durare, possibilmente svariate generazioni. Perché un articolo qualsiasi della Costituzione NON è una legge ordinaria (tanto che per modificarlo o abolirlo serve una maggioranza qualificata del Parlamento) e proprio per questo prima di tutto deve durare e poi non può essere imposta alla minoranza, non può essere il concretarsi del risultato elettorale che dà a questo o a quel partito, a questa o quella coalizione il diritto/dovere di legiferare, possibilmente per il bene comune.

Deve, invece, rappresentare quante più volontà possibili, incontrare il maggior numero possibile di consensi, perché si tratta di un’architettura che disegna e sorregge l’impianto stesso dello Stato: le porte di casa, le finestre, le maniglie dei bagni si possono e si debbono cambiare, anche a seconda dei gusti; le fondamenta no, o almeno solo in caso di necessità e con la massima cura. E non si può dire: beh, intanto facciamole e poi in qualche modo le aggiustiamo.

Che è esattamente quello che ripetono, con toni e parole a volte diversi, ma con le medesime finalità, moltissimi di coloro che voteranno SI’ e nel fare questo, appunto, commetteranno un gravissimo errore; non perché daranno torto, dovessero vincere, a quelli che votano NO, ma perché tratteranno norme costituzionali alla stessa stregua di quelle ordinarie.

Una riforma costituzionale deve durare decenni: non si può approvarla, ma poi dopo insomma, rimediamo alla scarsa chiarezza, la riscriviamo meglio, mettiamo a posto lì, cambiamo là, aggiustiamo qui e là

Chi vota SI’ con la riserva mentale che la riforma fa schifo, è scritta male, si capisce poco, è emendabile a breve, ha torto perché confonde le leggi e la loro diversissima natura, ha torto perché toglie fondamenta di cemento armato e le sostituisce, sia pure in parte, con paletti di legno, ha torto perché (e in questo gli si fa credito di onestà intellettuale, ché dei disgraziati che – anche fra coloro che votano NO – utilizzano questo referendum per scopi personali e di potere non mi occupo) pecca di superficialità e di leggerezza nel decidere su una riforma che non può e non deve essere cambiata, una volta approvata, se dovesse esserlo.

E un’ultima cosa: altro tormentone da campagna elettorale dice che chi vota NO vuole che le cose rimangano come sono. Io mi permetto di esprimermi per mio conto e per tutti coloro che onestamente difendono la Costituzione, ma ai quali non garba per nulla che l’Italia sia imbacchettata, ingessata, bloccata dalla burocrazia e che credono nelle modifiche, quando sono necessarie, utili e scritte bene: votiamo NO perché non vogliamo QUESTA riforma. Altri, come Salvini o Berlusconi votano NO in opposizione a questo governo e per rilanciarsi in vista delle prossime elezioni.

Noi votiamo NO perché vogliamo cambiare, ma in meglio, non in peggio.

Cesare Stradaioli