IL LIBRO DEL MESE DI OTTOBRE – Consigliato dagli Amici di Filippo

Gioca un po’ con il titolo, Pier Aldo Rovatti, rimandando abbastanza evidentemente a “Il fondamentalista riluttante” del 2012. Come il personaggio del film di Mira Nair, Rovatti pratica la mimesi, tracciando un percorso di opinioni e di giudizi che qui e là sembrano restare nella penombra. Nella raccolta di articoli di prima pagina, comparsi lungo un anno, il 2017, su “Il Piccolo” di Trieste, sua città di adozione – in realtà sono 44, non un anno intero – allo stesso modo del broker straniero in terra straniera, poi tornato a casa con vesti, esteriormente ma soprattutto interiormente diverse, l’Autore tratta con la consueta leggerezza di scrittura, cui fa da contrappeso lo spessore degli argomenti trattati, la consapevolezza del proprio ruolo che finalmente esplicita in maniera decisa solo nello scritto numero 30. Lui stesso, a tratti, sembra uno straniero in terra straniera, quasi che fosse un modo proprio di giungere all’attenzione del lettore.
Non poteva che essere la cultura attuale, quella del mondo in cui ci tocca di vivere, il punto nodale, attorno al quale gira e ritorna continuamente in questa antologia di riflessioni. Cultura, ovvero il pubblico e il privato, là dove il primo è il riflesso del secondo; nel citare “La cognizione del dolore”, l’intento è sottolineare l’idea gaddiana dell’egolatria, quella dei pronomi come spazzatura della lingua e del modo di vivere in quanto riflettenti la (s)personalizzazione dell’individuo che perde di spessore nell’esatto momento in cui lo rivendica, non come tutti ma come singolo. Idea che torna osservando un fenomeno tipicamente da cronaca nera, ovvero giudiziaria, per gli sviluppi che inevitabilmente avrà: il tremendo fuggi fuggi da una piazza torinese durante una partita di calcio; non interessa all’Autore il cosa l’abbia causato, ma il suo stesso divenire, cioè l’estremo individualismo che porta a scappare tutti come pecore impazzite, ognuno per sé e dio contro tutti, in luogo di fermarsi, capire, soccorrersi a vicenda e in questo modo – forse – evitare la tragedia.
Ancora l’etica, che nell’esasperazione comunicativa di questi anni, altro suo puntiglio, viene ridotta – o forse ricondotta – a una stucchevole diatriba fra l’ex direttore di una prestigiosa testata nazionale e una ministro parente di certi banchieri, senza minimamente sfiorare l’idea che di etica, per l’appunto, bisognerebbe occuparsi e non di chi abbia ragione o torto. Oppure l’etica come senso civico che porta il filosofo a porsi domande sulla presunta neutralità della scienza e che, pur ovviamente schierandosi contro il folle fenomeno che si oppone ai vaccini, ammonisce di stare bene attenti a non issare la bandiera della verità scientifica.
E infine, appunto nello scritto numero 30, intitolato non a caso “C’è bisogno di intellettuali riluttanti”, mette le carte sul tavolo. Non mi faccio mettere all’angolo, a discutere se sia più importante salvare le vite o perseguire gli scafisti. Non SOPRA le cose, ma NELLE cose, nei discorsi, nei rivolgimenti sociali, militarmente occupati dall’economia. L’Intellettuale deve essere riluttante: a farsi schematizzare, ad accorrere in soccorso, a ‘dire la propria’ da uno splendido pulpito d’avorio, ad assumere il ruolo salvifico di una volta – posto che lo sia effettivamente stato – che oggi come oggi è morto e sepolto. E non già perché la sua ‘organicità’ di un tempo non possa avere più senso, ma semplicemente perché al momento ne mancano i fondamenti, uno dei quali è il potere. Che sta altrove.
L’intellettuale riluttante è un pugile che lavora ai fianchi, non un cronista che racconta il match.

Pier Aldo Rovatti – L’INTELLETTUALE RILUTTANTE – Eleuthera – 170 pagg., €15