IL LIBRO DEL MESE DI NOVEMBRE – Consigliato dagli Amici di Filippo

E’ passata un po’ – immeritatamente – sottotono, nel coacervo di celebrazioni di ogni ordine e grado (e pulpito) del ’68, l’omologa ricorrenza del cinquantenario dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’Unione Sovietica.
Quanto accadde immediatamente prima e per lunghi anni dopo l’irruzione dei carri armati a Praga, è fuori di dubbio un evento di portata storica tale da essere considerata a buona ragione come l’inizio della fine dell’Urss; che, al pari di una struttura solida ma non abbastanza in grado di flettersi per sopportare i movimenti tellurici, ne subisce gli urti e infine crolla, governata da un ceto politico vecchio nell’animo prima che nell’anagrafe e verosimilmente soggetto alle influenza di un potere militare in grado di condizionarne ogni decisione politica. Non viene compreso, a Mosca, quanto di innovativo – e potenzialmente anche positivo per tutti gli Stati del Patto di Varsavia se solo avessero avuto la capacità di pensare a un rinnovamento senza tradimenti o riscritture della Storia – proveniva da Praga e da quella nuova classe politica capace di uscire dal coro e di avvicinarsi (forse quello costituì il motivo principale che indusse Mosca all’invasione) al modello jugoslavo per un socialismo più umano.
Si dice che sono chi abbia vissuto in prima persona un determinato periodo storico sia poi in grado di renderlo e raccontarlo in maniera adeguata; non è sempre così e qualche volta la distanza serve a vedere le cose e analizzarle in maniera più equanime. E, però, nel nostro caso, pochi possono dirsi capaci come Demetrio Volcic di narrare la vicenda storia e di scavare nei suoi protagonisti/antagonisti, sia sotto il profilo politico sia sotto quello più squisiatamente umano.
Le atmosfere rudi o ovattate, stanze e riunioni, i personaggi nelle loro paure e indecisioni private e nel mostrarsi in maniera così decisiva, che si trattasse di Dubcek o di Leonid Breznev; in mezzo, il senso della posizione di un giornalista, più che di uno storico (che non vuole essere), mentre nelle pagine di Volcic si respirano la città di Praga e il senso di speranza dei suoi cittadini. Di tanto in tanto si percepisce una specie di complicità, ora con i comunisti cecoslovacchi che volevano il cambiamento, ora con quelli moscoviti, con coloro che volevano incarnare il senso della Madre Russia, in un continuo passaggio di frasi, allusioni, cose mezze dette e mezze lasciate volutamente a metà. Qui la narrazione e il taglio dato a questo prezioso contributo di memoria storica si fanno ondivaghi e chi ha conosciuto il giornalista attraverso i suoi collegamenti da Mosca o da Praga, con la padronanza delle lingue slave che gli consentiva di capire più e prima di tanti altri del mestiere, ne intravede di tanto in tanto il taglio ironico, quasi sarcastico.
Non molti mesi dopo la presa del potere della Polonia da parte di Wojciech Jaruzelski, che di fatto sia pur reprimendo Solidarnos’, impedì l’intervento sovietico, criticando le posizioni non sempre chiare del primate polacco cardinale Jozef Glemp, “L’espresso” gli dedicò un titolo che non le mandava a dire: “Cardinale, lei da che parte sta?” Era un’osservazione che si sforzava di capire quali fossero le dinamiche polacche in una situazione di profonda crisi istituzionale e che, di fatto, registrava la non facile comprensione di come si muovesse un cardinale che aveva un suo predecessore diventato Papa a Roma. Ecco, considerate certe frasi e alcune prese di posizione, anche a noi verrebbe, potendo incontrarlo, da chiedere: “Demetrio Volcic, ma lei da che parte stava?
Secondo noi è anche il lato positivo di un grande taglio giornalistico.

Cesare Stradaioli

Demetrio Volcic – 1968. L’AUTUNNO DI PRAGA – Sellerio Editore –