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IN CHIUSURA

Molti diranno – lo dicono già – che mai ci si sarebbe aspettati un simile orrore.
Sono indubbiamente sinceri, nello stupore di ciascuno e tuttavia va fatta qualche riflessione sulla consapevolezza di chiunque lo provi, questo stupore e quasi se ne serva come una specie di lasciapassare morale.
La più gran parte di coloro che, basiti da quanto sta accadendo a Gaza, ostentano l’incredulità, in realtà lo sono proprio perché non potevano, non volevano pensare che prima o poi tutto questo sarebbe accaduto. L’inevitabilità delle decine di migliaia di assassinati dall’esercito israeliano, cui vanno aggiunti in numero al momento non calcolabile (e forse mai lo sarà) quanti hanno riportato ferite – e che tipo di ferite, a seconda del grado di invalidità – quanti saranno costretti per un certo periodo a patire fame e malattie e per un’eternità non misurabile a vivere in condizioni umanamente mai accettabili, era ben presente, chiaro e forte a chiunque. Poiché l’essere umano ha grandi capacità di adattamento, unite a un’altrettanto inesorabile inclinazione alla memoria selettiva, non possiamo perciò che definire sinceri tutti coloro che si stupiscono, si indignano, si commuovono, si mobilitano perfino ADESSO: ma se pretendiamo onestà intellettuale prima di tutto da noi stessi, con altrettanta serenità e fermezza li dobbiamo dichiarare colpevoli di indifferenza.
Fra non molto tempo, c’è da temere meno di quanto la mente più scettica possa immaginare, quando qualcuno domanderà conto della tragedia mediorientale, probabilmente si sarà persa la memoria della causa scatenante; già ora e da qualche decennio, le responsabilità iniziano a mischiarsi, come quando si mescolano due componenti che stanno per deflagrare. Strumento principe dell’indifferenza, essendo principio attivo della sua stessa esistenza, il raccogliere tutti, vittime e carnefici sotto lo stesso ombrello in quanto vicendevolmente lo sono stati e lo saranno di nuovo, impedisce di comprendere e aiuta a dimenticare. La cinica politica inglese di inizio Novecento? La follia antisemita? L’idea della soluzione finale? Il senso di colpa dell’occidente? La cecità e/o il mero calcolo politico? Cercare una risposta, che pure c’è, a ciascuna di queste domande non solo è difficile e faticoso, ma alla lunga perfino inutile. Un minimo sindacale di empatia – letture più elevate scomoderebbero la legge morale dentro ognuno di noi – esige una soluzione in tempi ragionevoli.
Non sarà, però, questo o quel politico, prima o poi destinato al Nobel per la Pace a essere decisivo: per quanto frustrante sia, visti i risultati, bisogna pur sempre ricordare come l’uomo solo al comando sia un fenomeno che probabilmente ha avuto fine con Giulio Cesare e forse anche da prima di lui. Per banale che possa sembrare – non lo sono anche il Bene e il Male, nel loro piccolo? – lo stato delle cose, specialmente QUELLO stato di cose può cambiare solamente grazie alla mobilitazione di ogni singolo cittadino, o in numero maggiore possibile.
Non c’è da essere ottimisti, soprattutto riguardo al Medio Oriente. Israele è da sempre la forza avanzata dell’Occidente che da lì controlla il mondo: ogni cosa inizia e finisce lì e da lì passa nei suoi vari meandri diplomatici. Se non che, il cane da guardia si è ribellato: presa coscienza della propria forza e della propria impunità, alla stregua non più come in passato di un ragazzino viziato, ora Israele si è fatto uomo. Bullo, lo è rimasto, ma se possibile ancora più libero di spurgare tutti i suoi peggiori istinti e le conseguenze dello sversamento dei suoi schifosi reflui sono anche sotto gli occhi dei non vedenti. E l’operazione propagandistica che adesso si esplica, facilissimo prevederla, lo si sapeva già all’indomani del 7 ottobre, di addossare tutte le colpe su Netanyahu, come da manuale svia l’opinione pubblica. Come se ogni singolo ordine di bombardare, di sparare sui civili, di impedire l’arrivo di cibo e medicinali provenisse da una sola persona e non da una precisa, addestrata e fanatica catena di comando. Come se dietro e prima del 7 ottobre non ci fossero ottant’anni di campi profughi.
Un passo alla volta: chi proponga soluzioni definitive mente o manifesta una sfrenata idiozia. Come disse quel medico al paziente, afflitto da numerose patologie, inclusa quella dell’abuso di alcolici, che disperato gli chiedeva aiuto, lei, prima, smetta di bere – sottintendeva: e poi ne parliamo – così Israele prima smetta di bombardare e faccia ritorno nei propri confini. E poi se ne parla.
Ma fino a quando chi dovrebbe ascoltare e vedere fa le tre scimmiette, aggiungendoci anche lo stare zitto, le patologie del mondo cresceranno, direttamente proporzionali al numero degli assassinati.
Chi predica realpolitik ci risparmi almeno il piagnisteo e lasci in pace le coscienze: sono così belle, quando dormono.

Cesare Stradaioli

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