MA BISOGNA CAPIRE

Abbiamo il dovere di capire. Di tenere lontani, per quanto possibile, sentimenti di presa di distanza e di disprezzo: da riservarsi, se mai – anzi, esorto a farlo – a quelle canaglie emerse dalla schiuma della peggiore destra che, astuti quanto basta, avendo riempito il vuoto lasciato dalle istituzioni in genere e dalla Sinistra nello specifico, cavalcano la rabbia e la protesta di persone e famiglie che vivono in condizioni e luoghi vergognosi, di degrado umano, culturale e materiale. Non sono loro i nostri interlocutori: non ne hanno titolo.
Coloro con i quali, se ancora ci dichiariamo di Sinistra e progressisti, dobbiamo confrontarci, sono donne e uomini che vomitano odio e rancore contro l’altro, il diverso, l’intruso; quelli che calpestano il pane destinato a un gruppo di persone che non aveva, autonomamente, di che procurarsi un pranzo appena dignitoso – e, nel calpestare il pane, senza rendersene conto hanno calpestato la memoria dei loro padri e nonni per i quali il pane era non solo e non tanto un indispensabile alimento, ma il vero e primo concetto di umanità e solidarietà.
Certo, i gesti fanno orrore; le cose dette – per lo più urlate – rivoltano lo stomaco e l’intelletto, ma nel nostro essere quello che siamo o abbiamo cercato di essere e di praticare nelle rispettive vite di ognuno, ci siamo fatti carico di capire e porre rimedio. Se per qualcuno il carico di comprendere il difficilmente comprensibile, di provare a dialogare con chi il dialogo neanche sa cosa sia – dato che nessuno gliel’ha insegnato – di evitare la comodità dell’indignazione fine a se stessa, sia diventato un onere pesante e non più praticabile, se la veda con la propria coscienza: eviti, però, in futuro, di stupirsi se l’esercizio del voto sistematicamente lo spiazzi, tirandolo giù dal pero a rompersi le ossa contro la realtà, dura come la terra.
Capire, peraltro, è solo il primo passo ed è anche il più agevole da compiere; solo uno stolto può non capire (o non voler capire) che interi gruppi sociali emarginati materialmente e moralmente, mandati a vivere in luoghi di vuoto totale, lasciati a loro stessi dopo avere dato tacito mandato alla televisione di occuparsi di plasmare i loro pensieri, riducendoli a puro istinto votato al consumo immediato – che sia cibo o propaganda, sempre di spazzatura si tratta – e incoscientemente messi in campo a combattere per la loro sopravvivenza contro altri disgraziati loro pari, non possono che esprimere rabbia e rancore. Allo stesso modo, chi sia dotato di un minimo di ingegno sa bene che in politica come nella fisica, il vuoto di fatto in natura non esista e là dove l’autorità (una autorità qualsiasi, legale o illegale che sia) abbandoni una porzione di territorio, immediatamente dopo il suo posto sarà preso da qualcun altro.
Questo qualcun altro si impadronirà del tessuto sociale e morale e lo gestirà; non gli costerà neppure tanto: basterà la distribuzione periodica di vivande e denaro. Poca roba, a confronto del tornaconto politico che ne avranno, utilizzando oltre a tutto vere e proprie forme di volontariato, del tutto assimilabili a quelle religiose o laiche, nella loro esplicazione.
Il tutto, non andrebbe neanche ripetuto, non nasce senza motivi, senza ragioni storiche e politiche. La destra di questi anni, in Italia e in Europa pare in grado di raccogliere non tanto consensi – il concetto di consenso presuppone un minimo di analisi e di spirito critico – quanto di adesioni, principalmente pescando in strati sociali più spaventati che effettivamente poveri di risorse materiali: cercare e trovare adesioni in quelli che miserabili sotto il profilo culturale ed economico lo sono per davvero,  diventa quasi un gioco da ragazzi. Bisognerebbe insistere a spiegare come e perché sia sia creato quel vuoto. Chiedersi come sia potuto succedere che non solo la Sinistra, ma perfino la Chiesa, naturali, fisiologici direi, punti di riferimento dei reietti, degli ultimi, di coloro che patiscono più degli altri la disuguaglianza, nelle forme vecchie e più moderne, vengano per contro visti come estranei. Da un lato, il politico di sinistra non è più credibile come persona e come messaggio, tanta e tale è la distanza che la sinistra stessa negli ultimi decenni ha deciso di mettere fra sé e le classi più povere e bisognose di riscatto sociale; dall’altro – da un punto di vista laicamente sociologico si palesa, se possibile, storicamente ancora più significativo – non solo e non tanto la figura di questo o quel sacerdote, perfino quella del Papa, quanto piuttosto il significato intrinseco di solidarietà e compassione al momento sono obnubilati e, di fatto, rifiutati, anche e soprattutto da persone che, poi, alla domenica vanno in chiesa.
Di quest’ultima problematica se ne prenda cura chi di dovere, all’interno delle strutture pensanti del Vaticano – chè là, certo, non mancano. Di quella che nella scena politica sta relegando la sinistra a ruoli di comparsa, più che di attrice, dovremmo occuparcene noi. Perché non è finita qui. Il pane calpestatato non è più un inizio e non è solo uno sviluppo: ben di peggio ci troveremo di fronte negli anni a venire e blaterare di cambiamenti e incaricarne lo stesso personale che ha provocato i disastri, equivarrebbe a nominare commissario liquidatore del fallimento lo stesso imprenditore fallito. Non è cambiando segretario, che si cambia la politica, se il nuovo rappresentante proviene dallo stesso ceto che risulta arduo definire ‘politico’.
Sono, la quasi totalità di questo ceto, a seconda dei casi – e scelgano loro quale qualifica preferiscano – incapaci, ignoranti, mascalzoni, corrotti (prendere soldi o regalie è solo il momento finale: la corruzione inizia prima, quando si pensa di poterli prendere), cialtroni, dilettanti allo sbaraglio, bugiardi, cafoni, maleducati, incapaci di condurre un dialogo e un confronto serrato su temi concreti. Sono perfino pessimi imitatori; e si sa che lo spettatore ride quando vede un’imitazione ben fatta – e loro neanche di questo sono capaci, patetici scimmiottatori di una destra che ai loro occhi pare più svelta e attenta e lo è – ma poi quando diventa elettore il voto lo da all’originale che, in genere, è meglio della copia, specie se brutta.
Che se ne vadano. Mandiamoli via. Abbiano diritto a qualcosa di meglio; abbiamo il diritto e il dovere di non trovarci sempre a scegliere per il meno peggio. Il dovere, insisto: lo dobbiamo anche a quelli che cacciano i rom, i profughi, i diseredati quanto lo sono loro, lo dobbiamo a donne e uomini talmente degradati da non rendersi conto di essere usati come arma di consenso per le peggiori menti di questo Paese e che nel fare questo consegnano loro stessi e i propri figli a un destino anche peggiore del loro. E’ anche colpa nostra per quanto è accaduto per come e cosa è diventato questo Paese e, anche solo per questo, dovremmo sentire il dovere prima di tutto civico di voltare pagina.

Cesare Stradaioli