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2017: FUGA DALLA SOCIALITA’

Su “Il Corriere della Sera” di ieri, Antonio Polito si chiede se la pratica della vaccinazione sia di destra o di sinistra. La questione – che sembrerebbe superata, tanto per cambiare, dall’economia: pare che, alla luce dell’incremento nel nostro Paese di alcune malattiee a suo tempo circoscritte dall’apposita prevenzione, negli USA e in altri Stati sia cominciata a circolare una sorta di messa in guardia rivolta ai potenziali turisti, esortati a fare attenzione che in Italia sono tornate delle brutte malattie; quando si dice la ragione sì, va bene ma quando tocchi i soldi… – appare meno oziosa di quanto non possa sembrare il quesito in sé.

Ora, il vaccino è un’operazione puramente tecnica, compiuta su basi scientifiche, che limitano il loro ambito all’elaborazione di dati oggettivi, i quali difficilmente possono essere sottoposti a uno scrutinio di natura politica; quello che è certo e che dovrebbe essere indiscutibile, è che non sottoporre il proprio figlio alle vaccinazioni è sicuramente di destra. Lo è per un semplice motivo: perché una scelta di questo genere presuppone una considerazione specifica e cioè che la libertà del singolo venga prima di quella degli altri considerati nel loro insieme, secondo la più pretta impostazione thatcheriana secondo la quale, per l’appunto, non esista la società bensì una somma di individui, ognuno per sé, in nome dell’esercizio della libertà personale, anteposta a tutto e a tutti.

E’ noto come Vladimir Il’ic sostenesse che i fatti hanno la testa dura. Nello specifico, i fatti sono insolitamente chiari e semplici; decenni di vaccinazioni hanno portato alla quasi estinzione di alcune gravissime malattie, migliorando la salute e la qualità della vita di centinaia di milioni di bambini; negli ultimi anni, a seguito della diffusione di una tenace opposizione alle vaccinazioni, frutto marcio di una strampalata e mefitica libertà di espressione, per la quale qualunque stupido ha diritto di parola e credibilità su temi che non gli competono, queste malattie hanno ripreso a diffondersi in preoccupante percentuale, riproponendo situazioni che appartenevano alla prima parte del secolo scorso; di conseguenza, ogni singolo bambino non vaccinato – che sarà nel futuro un cittadino non vaccinato – diventa non solo soggetto a malattie che, in non pochi casi, sono mortali se non minoranti in maniera permanente, ma anche un pressoché certo portatore sano, in grado di contagiare e danneggiare altri i quali, per vari motivi che vanno dalla loro debolezza strutturale al fatto di non poter assumere vaccini, rischiano così di ammalarsi.

E’ pertanto una sommatoria di dati di fatto, dotati di teste durissime, a dirci che la mancata vaccinazione si caratterizzi in definitiva come una scelta potenzialmente devastante per la società intera – e non solo per il singolo figlio, che si vorrebbe esente da mai dimostrate controindicazioni causate da questo o quel vaccino.

Si dirà che, una volta stabilito che la scelta antivaccino sia di destra, l’appiccicare un etichetta è e rimane un puro esercizio accademico, se poi non si agisce nel concreto. Verissimo. Sarebbe il caso di cominciare. Con urgenza. Possibilmente da ieri. Perché il movimento anti vaccino, che ultimamente è uscito da circoli ristretti per guadagnare consensi inimmaginabili fino a qualche anno fa, deve essere fermato e le persone che lo appoggiano devono essere ricondotte alla ragione (o, quanto meno, all’osservanza delle norme che regolano un minimo di consorzio civile), prima che il problema diventi più grave di qualche centinaia di turisti in meno. E sotto questo aspetto, il ricondurre alla ragione passa per il dialogo, il confronto: che siano civili e attenti a capire il perché e da dove nascano questi fenomeni che non sembrano durare lo spazio di una moda, ma serratissimi e senza tregua.

Senza tregua contro alcuni mezzi di cosiddetta informazione, in modo tale da finalmente – e si spera una volta per sempre – ridimensionare il vacuo mantra neoliberista di ‘informazione’, per tornare a privilegiare la conoscenza, che è cosa ben diversa e più completa. Non dare spazio, non dare un momento di pausa nel confutare, nel ribattere, nel mettere in chiaro i fatti e rifuggire dal solito, frusto cliché di scambi di opinioni (che NON hanno sempre diritto a pari dignità e rispetto) che poi finiscono regolarmente col diventare risse da curva di stadio. E senza pietà, senza remissione, contro coloro – non pochi fra costoro, la cosa dovrebbe essere stupefacente ma ormai non ci si stupisce più di nulla, anche dei medici, dunque gente che ha studiato, applicando oltre a tutto metodi scientifici nel loro apprendimento e nella loro pratica – che dichiarano di essere contrari non al concetto di vaccinazione in sé, quanto piuttosto alla vaccinazione di massa. Qui la faccenda si fa molto seria, perché la banale considerazione per la quale una vaccinazione o è di massa o semplicemente non è, travalica il rilievo tecnico. Manifestare il proprio pensiero in un simile modo significa essere dotati di un italiano malconcio, approssimativo, sconclusionato, sconsiderato. Ne “Una storia semplice”, prima su carta grazie alla penna di Leonardo Sciascia e poi su pellicola, con lo splendido volto scolpito di Gian Maria Volontè, il professor Franzò esprime un concetto che andrebbe incorniciato e appeso in tutte le aule pubbliche, scolastiche fra le prime: “Vede, l’italiano non è L’ITALIANO: è il ragionare.” 

Non sembra esserci alternativa: opporsi in tutti i modi, con tutti i mezzi allo scialo sociale, al disinteresse per gli altri, allo scollamento che vediamo giorno dopo giorno, all’imbarbarimento (e vada chiamato con il suo nome, perdio!) dei rapporti umani, bestia feroce che si alimenta di paura, neoliberismo, utilitarismo, libero sfogo alle pulsioni più basse e vili in nome della libertà che non è altro che arbitrio da una parte e sottomissione dall’altra. E questa opposizione andrà fatta anche ricominciando dall’italiano. Dal ragionare. 

Che è sempre di sinistra. Per quello che può significare.

Cesare Stradaioli

 

 

 

Un commento su “2017: FUGA DALLA SOCIALITA’

  1. Vorrei riportare la discussione su un piano tecnico: ogni volta che Report si occupa di argomenti tecnico-scientifici fa cattivo giornalismo. Sposa una tesi e in base a quella procede in barba alle evidenze scientifiche. In questi casi le esperienze dei singoli non significano un cazzo: le scienza non è democrazia dove uno vale uno, la scienza è sperimentazione e verifica e i pareri di presunti esperti (in realtà ampiamente conosciuti come bufalari) che non portano dati ma solo affermazioni tipo “è stato dimostrato…” parimenti non contano un cazzo.
    Invece ogni volta Report sceglie questa linea. Sono, banalmente, dei cattivi giornalisti.
    ALBERTO ANDRIOLI

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